Lo Sport Club/2: Pippo Borzì

È attualmente considerato il tecnico catanese più preparato e da poco si è tuffato in un’avventura che si propone di rilanciare il basket maschile in città. Pippo Borzì è l’allenatore del Gad Etna e con la società di Costantino Condorelli ha intenzione di costruire un progetto serio e a lungo termine. Le idee non mancano: «In una società sportiva, lo sviluppo deve essere sostenibile – afferma –, cioè si deve sapere che si va avanti finché ti regge la voglia, non finché non finiscono i soldi. È una politica che non ha alternative e a Catania questa visione non c’è mai stata.»

Pippo Borzì
UN CATANESE A ROMA. Pippo Borzì, 53 anni, è nato a Catania ma ha iniziato a giocare a Roma [Basket Sud].

Come si arriva a questo sviluppo sostenibile?
«Rischiando. In passato, ho allenato la Palmares in Serie A2 femminile. Prima che arrivassi io, la società aveva degli obiettivi ambiziosi: nessuna delle giocatrici era di qua. Al mio primo anno con loro, il budget si era ridotto. Mi imposi così per far giocare le giovani catanesi, tra cui Felice, Ferlito e Manganaro. A fine stagione salvammo il titolo ma lasciammo lo stesso l’A2 perché si era speso troppo in passato. Ripartiti dalla B regionale, abbiamo tenuto tutte le catanesi, abbiamo vinto il campionato e oggi la società è ancora in B d’Eccellenza con una squadra di atlete locali. In questo caso, il rischio è stato premiato. Anche nella Virtus maschile si è rischiato, ma perché si è stati costretti. Per tanti anni hanno fatto giocare Passarelli, Babetto e Maran, che erano bravi ma anziani e soprattutto non locali: ogni anno i dirigenti finivano più poveri di prima. Quando i soldi sono finiti, hanno giocato con i giovani e hanno salvato il titolo. Ma la società è fallita lo stesso.»

Quale sarebbe allora la soluzione?
«Se compri dieci giocatori di fuori non ti rimane niente, a parte il titolo. Se invece punti sui giovani, fai fare loro il primo gradino e te li ritrovi per le stagioni successive. Inoltre, dopo puoi prendere qualche elemento esperto, spendendo in proporzione di più per pochi giocatori più forti

Qual è quindi la linea del Gad Etna?
«Puntare sui giovani e cambiare la cultura che c’è in giro, mettendo i valori prima dei soldi. Le basi sono molto solide e il progetto è interessante; inoltre, c’è una buona programmazione. Certo, quest’anno abbiamo pagato lo scotto, ma sappiamo che alla fine coglieremo i frutti. C’è l’accordo con il Cus, che ci ha passato dei giovani di grandi prospettive come Mauceri, che si è fatto male e non ha avuto molto spazio, Basile e Arena, che invece hanno minutaggi importanti in Serie C2. Inoltre ci sono altri ragazzi come mio figlio Antonio Borzì e altri come Caselli e Distefano che erano finiti in Serie D. La nostra si può inquadrare come un’attività dopolavoristica fatta con più impegno.» «In fondo – aggiunge Simone Motta, vicepresidente della società – G.A.D. significa Gruppo Amici Dopolavoro. Il nome si addice perfettamente a questa stagione.»

C’è qualcun altro che sta adottando la vostra linea a Catania?
«Qui solo noi, gli altri non lo fanno. O, almeno, non ne conosco. Potremmo dire il Cus, ma loro hanno scelto di puntare sui giovani e lasciare a noi il vertice, che al momento è vicino alla base. In prospettiva, potremmo avere un vertice più alto.» Interviene anche Motta, che precisa che «Il Cus e il Gad si completano a vicenda. A noi servirebbero anni e anni per ottenere ciò che il Cus ha già.»

Ma avete delle giovanili vostre?
«Stiamo facendo un’under-21 e un’under-19 – dice Motta –, ma di fatto la base sono i ragazzi che giocano in prima squadra. Abbiamo scelto di fare le giovanili per dar loro più spazio. Avremmo voluto inserire qualche altro ragazzo del Cus, ma il doppio tesseramento è possibile fino agli atleti nati nel 1990 e se li avessimo portati con noi non avrebbero fatto i campionati giovanili con gli altri. Inoltre, i ragazzi del 1991-92 hanno molta più possibilità di giocare in Serie D.»

La stagione come sta andando?
«Quest’estate ci davano per spacciati, ma ci siamo tolti delle soddisfazioni. Lottiamo per i play-off, che sarebbero il suggello dell’annata. Dopo un ciclo terribile, ci potremo risollevare nelle ultime partite.»

Quanto vi costa questo campionato?
«Molto poco: nessuno prende i rimborsi spese e abbiamo comprato solo tute, completini e scarpe. Abbiamo cercato anche altri giocatori, ma avrebbero voluto essere pagati e quindi non li abbiamo presi. Per ora siamo quelli che spendono meno, ma in futuro, quando prenderemo degli atleti non catanesi, pagheremo tutti per non creare disparità. Chi viene qui, però, non dirà che gioca con noi per i soldi, ma perché vuole giocare con noi: è una rivoluzione copernicana, perché di solito è tutto il contrario. Oggi, un giocatore sceglie in base a quanti soldi prende. Noi vogliamo che si venga qui perché con noi si ha un futuro, una società seria, una certa organizzazione e diciamo anche Borzì allenatore e Marchesano preparatore atletico. E per questi motivi si verrà qui anche se in un altro posto si guadagnerà di più. Quest’estate il messaggio non è passato, ma spero che passi nel corso del tempo.»

Il prossimo anno continuerete con questa squadra?
«Dipende dalle prospettive, è un po’ prematuro parlarne ora. Ci guardiamo in giro, vorremmo portare un titolo a Catania e la cosa potrebbe essere fatta. Il tutto dipende dalle scelte che si fanno, ma devono essere molto mirate. In questa squadra futura bisognerebbe confermare quelli che quest’anno hanno fatto meglio e riportare a Catania i catanesi di fuori, come i fratelli di Basile e Mauceri che sono a Reggio Emilia. E unirci con la Grifone. Sarebbe già un bel segnale. Bisognerebbe poi mettere vicino ai giovani dei giocatori esperti che li possano far migliorare.»

sportclub74
RELAX. Lo Sport Club 1973-74 in un momento di relax. Pippo Borzì, ultimo a destra, guarda Diomede Tortora e Luciano Cosentino che prendono in giro Elio Alberti. [L.Cosentino].

Come si è avvicinato Pippo Borzì al basket?
«Ho iniziato a giocare a 14 anni a Roma, dov’ero andato a studiare. Giocai per tre mesi in seconda superiore. Poi mi sono trasferito a Catania e ho giocato nello Sport Club fino al 1975. Inizialmente, ho avuto dei problemi perché sono stato squalificato per un anno e mezzo a causa di un doppio tesseramento. Non ho perso tempo, però, perché ho giocato a pallavolo con la Paoletti, che allora era in Serie C ed era allenata da Carmelo Pittera. Nel 1975-76 sono andato alla Viola Reggio Calabria, dove sono rimasto fino al 1981.»

Quand’è tornato in Sicilia?
«Nel 1981-82 ho giocato a Ragusa, in B, dove mi sono fatto male al ginocchio e sono stato operato al menisco: all’epoca era un intervento cruento e complicato. Rientrai a Catania l’anno dopo, per giocare con la Berloni Giarre, in Serie D. Come condizione dissi al presidente che avrei dovuto anche allenare: fu così che iniziai la mia esperienza in panchina. Più che altro, però, era una scelta dovuta al mio infortunio. La squadra era abbastanza competitiva, c’era anche Riccardo Corbi: abbiamo perso solo una partita. Poi ho avuto un dissidio con il presidente sul mio utilizzo, così l’anno dopo sono andato al Gad Etna. Poi ho giocato a Messina, in C1, con la Cestistica

Come ha chiuso la sua carriera?
«Con un triennio all’Acireale, dove ho allenato e giocato. Fu la mia prima vera esperienza da tecnico, dato che avevo fatto vari corsi. Il primo anno ci siamo salvati, malgrado dei problemi con una squalifica del campo, il secondo anno siamo stati promossi e il terzo abbiamo giocato in Serie C. È stata un’esperienza immensa dal punto di vista umano, perché l’ambiente mi ha dato tanto. I ragazzi si compravano da soli le scarpe, perché la società era povera, anche se giocava contro squadre professionistiche: gli scontri erano impari. C’era una grandissima differenza di valori. In particolare ricordo che all’andata abbiamo perso di 70 punti a Potenza. Al ritorno, invece, li abbiamo battuti e dalla Basilicata hanno chiamato varie persone perché pensavano che quel risultato non fosse possibile… Comunque fu un anno eccellente. Poi ho smesso definitivamente di giocatore.»

Quali sono stati i suoi allenatori?
«Ho avuto una fortuna enorme con i tecnici. Nell’anno di pallavolo ho avuto un grande come Pittera, che mi ha promesso una moto per farmi rimanere a giocare con la Paoletti: per me era qualcosa di inimmaginabile, perché ero in quarta superiore, ma non ho resistito… Poi, allo Sport Club, c’è stato Santi Puglisi, che ha avuto una splendida carriera. A Reggio Calabria, invece, ho avuto Vittorio Tracuzzi, che ha allenato anche la nazionale, e Filippo Faina, che prima della Viola allenava l’Olimpia Milano. Sicuramente mi hanno lasciato un’impronta importante che ho compreso appieno con la maturità. Anche da allenatore a Ragusa ho fatto l’assistente a Ninni Gebbia per due anni, a Gianni Lambruschi per quattro e a Massimo Bernardi per uno. Inoltre, ho avuto uno staff eccellente con il preparatore Roberto Colli e lo psicologo Tommaso Biccardi.»

Com’è stata l’esperienza ragusana?
«Lì c’era un ambiente eccellente con una società che inizialmente era a gestione familiare. Ho lasciato un ottimo ricordo e, dato che la pallacanestro lì è importante, mi conoscono tutti. Inoltre, facendo l’assistente per tanti anni ho avuto alle spalle dei grandi tecnici che mi hanno fatto capire come funziona la gestione di una squadra, quali sono i passi che si fanno per gli atleti, per la società e anche per la stampa. Sono esperienze importanti che fanno parte della mia formazione. La Virtus mi ha lanciato, perché lì lavoravo come professionista. Gebbia è un ottimo tecnico, la collaborazione intensa con Lambruschi mi ha aperto gli orizzonti, e Bernardi si presenta da solo dato che ha svezzato Carlton Myers. In questi anni abbiamo fatto quattro volte i playoff per andare in Serie A, l’ultima volta abbiamo vinto il girone Sud e abbiamo perso lo spareggio di Caserta contro Imola per due punti. Poi sono diventato capoallenatore e la prima è stata più emozionante di quello spareggio! Nel mio primo campionato ho cercato di puntare sulla ragusanità, con D’Iapico, Lonatica, Cassì, Ceccato e Passarelli, mentre prima si prendevano sempre giocatori da fuori. Questa scelta non fu ben compresa, perché si pensava che fosse una forma di risparmio. Nessuno pensava che avremmo fatto i play-off, ma intanto li abbiamo raggiunti e abbiamo perso solo contro il Pozzuoli di Ninni Gebbia. E questo è stato il mio top. L’anno dopo mi sono ritrovato la squadra rivoluzionata. Dopo un difficile ciclo di trasferte, in cui abbiamo perso contro la capolista Viterbo a causa di due liberi sbagliati da un ragazzo che aveva segnato più di 70 liberi consecutivi, mi sonoincazzato con la stampa perché massacravano i giocatori e sono stato esonerato per la prima ed unica volta.»

Rainbow 2006
RISURREZIONE. La Rainbow Catania 2005-06, risorta con Borzì in panchina dopo il fallimento della Palmarés. [La Sicilia].

La società si era però evoluta dai suoi primi anni lì?
«Sì, e in futuro avrebbero fatto altri passi da gigante che però l’avrebbero portata al fallimento. L’esonero fu anche a causa di una lotta di potere all’interno che stava cambiando la faccia della società, è una storia lunga. L’anno dopo sono passato al Basket Club, una piccola società ragusana che era il rituffo dei giocatori locali: abbiamo puntato sui giovani e sul lavoro e adesso la Nova Virtus è proprio quella società. Alcuni atleti, come Tumino, sono partiti con me. E lì si è chiusa la mia esperienza ragusana, nel 2000.»

Com’è arrivato ai giorni nostri?
«Sono tornato a Catania, per poter insegnare e per vivere qui. Ho ricominciato conl’Adrano: la squadra era competitiva ma non andava bene. Ho vissuto un anno eccellente, con gente in gamba e con valori interessanti, che si fermò solo a causa di una sconfitta dopo tre supplementari contro Priolo, ai play-off. Sarei potuto rimanere, ma mi offrirono di allenare l’A2 femminile con la Palmares: l’idea mi stuzzicava parecchio perché la società aveva grandi ambizioni. Sfortunatamente, devo dire che ho una caratteristica: quando arrivo io finiscono i soldi! Dopo essere ripartiti dalla B regionale, abbiamo disputato un ottimo campionato di B d’Eccellenza: è stata una soddisfazione giocare i playoff contro squadre che spendevano molto più di noi. Sono felice che loro siano ancora in B1. Poi sono stato un anno fermo e quest’anno ho accettato la proposta dal Gad Etna. E il resto è storia recente…»

Roberto Quartarone e Salvatore Maugeri

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