Angelo Casabianca: un accompagnatore da Serie A

Siamo alla fine degli anni cinquanta. La storia della Grifone è solo agli albori. La pallacanestro si sta espandendo su tutto il territorio nazionale e Catania sta lentamente riscoprendo questo sport. Angelo Casabianca è il tuttofare della società: prima giocatore e poi dirigente, contemporaneamente scrive per “La Sicilia”, narrando le piccole imprese dei suoi compagni di squadra. Oggi Casabianca ha 83 anni. Molti ricordi della sua gioventù sono rimasti indelebili, tanti altri, tuttavia, sono andati perduti. L’ex giornalista non comunque ha dimenticato quanto fosse difficile organizzare una squadra a quei tempi: «Il basket doveva ancora nascere a Catania – spiega. – Bisogna pensare che io giocavo solo per fare numero, perché eravamo contati. All’epoca era raro trovare qualcuno che sapesse fare un tiro a canestro e la mia tecnica, ad esempio, era un fallimento totale!»

GIORNALISTA E ACCOMPAGNATORE. Angelo Casabianca, 83 anni, nel 1959: era dirigente e cronista per La Sicilia della Grifone [La Sicilia].

Qual era il suo ruolo nella Grifone?
«Ero il dirigente accompagnatore. Non mi occupavo degli allenamenti e della preparazione, ma dei rapporti con l’agenzia di viaggio, della pianificazione delle trasferte prenotando ristoranti e alberghi e di tutte le consegne che mi dava il presidente Alberto Di Blasi. Era lui a pensare ai soldi e malgrado la Grifone fosse una società piccola, riusciva a trovare sempre la possibilità di essere aiutato e foraggiato. Era un’impresa riuscire a fare tutto!»

Com’è nata la Grifone?
«I miei ricordi non sono tanti ed è già tanto essere arrivati alla mia età! Ricordo però che era stato Di Blasi a rilevare la squadra e che l’allenatore era Gigi Mineo, il padre di quel Giuseppe che avrebbe giocato tanti anni con il Gad Etna.»

Si ricorda qualche partita importante?
«Ricordo lo spareggio con Benevento, o forse Caserta. Conduciamo tutta la partita, tenendoci sempre uno o due punti avanti. Alla fine, parte un tiraccio da centrocampo, scagliato da un giocatore campano. La palla sembra dover andare fuori, ma va a finire sul cerchio, gira tre volte, sembra voler uscire e infine una mano divina la manda dentro.Abbiamo perso di un punto. È stata un’amarezza enorme. Poi ci hanno ripescati in Serie A, ma non ricordo per quale motivo, probabilmente perché una squadra non si è presentata.»

Come descriverebbe Amerigo Penzo?
«Era un professore del basket, un grande, è stato il tecnico che ha portato la pallacanestro a Catania. Arrivò da Venezia proprio l’anno di quello spareggio. Con quella promozione siamo entrati nel basket nazionale. Era in gamba, amava la società e i ragazzi, si faceva seguire bene

Come si è conclusa la sua esperienza nel basket?
«Il presidente Di Blasi si è stancato e ha ceduto la società ad Alfredo Avola. A quel punto ho lasciato l’ambiente e mi sono allontanato completamente.»

C’era un legame tra la Grifone e il Giglio Bianco?
«Non lo so. Avevo visto giocare il Giglio Bianco, una squadra formata da giocatori del FUSI, una federazione universitaria. Il campo si trovava dove oggi c’è il teatro Metropolitan,al Cinema Giardino. Il presidente era Gianni Naso, un appassionatissimo della pallacanestro. Poi ha lasciato e sono cambiate tante cose. In pratica si è ripartiti da zero nel dopoguerra.»

La Grifone si occupava delle giovanili?
«Sì e ha addirittura avuto il privilegio di essere stata la prima società siciliana a partecipare ad una finale nazionale dei campionati juniores. Essere riusciti a qualificarci fu il fiore all’occhiello della società. Vinte le fasi regionale e interregionale, la squadra arrivò a Bologna. Lì subimmo legnate da tutti, ma i ragazzi non si scomponevano perché erano appagati della partecipazione. Potemmo vedere tanti atleti che sarebbero diventati campioni in Serie A e con Penzo seguii la finale. Lui mi indicò un ragazzo che avrebbe fatto veramente strada… Ma non mi ricordo il nome!»

Qual era il miglior giocatore della Grifone?
«Sicuramente Vittorio Guarnotta, trapanese, che era campione regionale di salto in alto. Ma ce n’erano tanti altri.»

Per esempio?
«Ne ricordo alcuni per i soprannomi che dava loro Penzo, come Sebastiano Peluso e Rosario Puglisi: il primo era Zezè, perché doveva essere attaccato all’avversario come una mosca tse-tse, il secondo Pugnale, perché doveva colpire gli avversari davanti e dietro… C’era anche Fabio Bezoari, un bravo giocatore, che faceva pallanuoto d’estate e basket d’inverno. Lombardo, invece, segnava poco e niente, e a fine partita diceva sempre la stessa cosa: “Non mi dispiace tanto che abbiamo perso, ma che quando i miei compagni vedranno il giornale leggeranno Lombardo virgola.” Si riferiva ovviamente al tabellino: dopo il suo nome non c’era mai il numero dei punti segnati…»

A proposito di giornale, lei scriveva per “La Sicilia”, giusto?
«Sì, e dopo l’esperienza con la Grifone sono diventato segretario della redazione sportiva. Quando scrivevo della mia squadra, cercavo di essere imparziale e giusto. E credo di esserci riuscito!»

Roberto Quartarone

1 commento

  1. …quel giocatore indicato da Penzo alle finali nazionali juniores di Bologna (ricordo di avere sentito raccontare questo aneddoto da zio Angelo) era Massimo Masini, pivot di Montecatini che divenne una gloria dell’Olympia Simmenthal Milano e della Nazionale nella seconda met degli anni ’60.

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