Tita Alberti, la nonna del basket etneo
Quattro anni indimenticabili di basket degli albori

Un ambiente povero ma rinnovato nel dopoguerra… L’attività di Caponnetto e Cassisi… «Le maglie di lana e i numeri cuciti da noi»… La vittoria della Coppa Sicilia… I derby Cus-Ciclope…

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Tita Alberti nel 1949

Per un lungo periodo, la pallacanestro femminile catanese nel secondo dopoguerra è stata solo uno sport scolastico di buon successo. La federazione e le squadre erano totalmente senza soldi e lo dimostrano i campionati, disputati a livello provinciale o, se andava bene, in giro per la regione e con poche partite. E poi solo i ragazzi si ricordavano della fervente attività che si era svolta fino a pochi anni prima, che aveva portato la formazione di Palmieri in Serie B e le ragazze a primeggiare tra le formazioni siciliane.

Si era quindi ripartiti totalmente da zero. C’erano pochi punti fermi: la palestra Umberto I, nel secondo chiostro del monastero dei Benedettini, sede del Liceo Spedalieri,  e alcuni professori-pionieri come Domenico Cassisi e Santo Caponnetto, che catalizzarono l’attività delle studentesse nel chiostro. Ci volle poco per organizzarsi: un vecchio tabellone, un pallone di cuoio, delle magliette di lana confezionate ai ferri dalle stesse giocatrici.

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La selezione di Catania alla Coppa Sicilia 1949. In piedi l'allenatore Caponnetto, Rapisarda, Giglio, Laudani, D'Agata, Grieco e l'accompagnatore Grassi. Accosciate: Alberti, Tenero, Attagule, Cusmano, Vitale.

«Proprio così – ricorda Tita Alberti, giocatrice di quel periodo –. Le maglie rosse erano di lana, a volte troppo calde, e i numeri erano di panno lenci, cuciti a mano. Ero la numero 3 della mia squadra, ho giocato con la Ciclope e il Cus dal 1947 al 1951. Quattro anni indimenticabili». Oggi Tita Alberti ha ottant’anni, ma ricorda ancora tutto alla perfezione, come se fosse appena uscita dalla polverosa palestra Umberto I. «Ci allenavamo due giorni a settimana lì, ma non c’era niente, solo la nuda terra e due canestri che erano già vecchi quando avevo iniziato. Le regole erano diverse: niente 3” o 24”, niente tiro da tre, io ero considerata un difensore e raramente andavo a canestro».

Nata a Catania, cresciuta in Eritrea, la Alberti studiava allo Spedalieri. «Un giorno il professore Caponnetto arrivò in classe e ci propose di giocare. Insegnava educazione fisica, era un gentiluomo e un signore, purtroppo se n’è andato giovane. È lui la prima figura che ho in mente, al fianco del professore Cassisi». I due animatori della pallacanestro non avevano molti mezzi: «Si impegnavano per farci partecipare almeno alla Coppa Sicilia, perché non c’erano fondi per altre trasferte». La Coppa Sicilia era l’unica competizione di rilievo regionale in quel periodo: «Era una manifestazione polisportiva con atletica leggera, pallavolo, salto… Giocavamo con il nome di Catania e nel 1950 l’abbiamo vinta noi, vincendo su Trapani».

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Un'azione della Alberti nella finale della Coppa Sicilia 1950

Le poche trasferte erano sempre disagevoli. «Partivamo con il treno per delle avventure che oggi sembrerebbero impossibili. Ogni tanto ci portavano in qualche paesino dove la pallacanestro non si era mai vista. Una volta siamo andate a Santa Venerina, dove abbiamo giocato contro il Giarre, solo che loro sono venute in gonna-pantalone, mentre noi in pantaloni corti ed è stato uno scandalo! Ci è capitato anche di giocare contro l’invincibile Maurolico Messina, solo in amichevole, e una volta l’abbiamo battuta: è stato un grande avvenimento».

A livello cittadino il campionato propaganda era quello che attirava più attenzioni. Il più importante si disputò nel 1951, quando si iscrissero sei squadre, creando un gran movimento al termine del quale le ragazze migliori partirono alla volta di Siracusa per vincere per il secondo anno di fila la Coppa Sicilia. «Nei tornei precedenti, a volte il campionato si interrompeva perché mancavano i soldi, ma quell’anno fu particolare. Cassisi e Caponnetto avevano litigato, io ero passata a giocare con il primo nel Cus, alcune ragazze che studiavano al magistrale erano rimaste alla Ciclope».

Ancora la Alberti in azione; sullo sfondo, il chiostro del monastero del Benedettini

Quel campionato si risolse in una corsa a due tra Cus e Ciclope A. «Alla fine abbiamo vinto noi. I punteggi erano bassissimi: basti pensare che la partita decisiva contro la Ciclope finì 14-12 per noi. Una gara combattutissima, le mie compagne non potevano entrare più perché erano state espulse e siamo rimaste in tre in campo. Con Pina Giglio, la giocatrice più forte delle avversarie, c’era rivalità. Dopo che abbiamo vinto questa finale, mentre se ne andava negli spogliatoi disse: “Certo, bisogna essere brutte per vincere!” Ma eravamo amiche, la tensione era forte!»

La Alberti ricorda molte delle sue compagne: «Mi ricordo di Pina Tenero: era un’atleta che faceva salto in alto, ma non giocava a pallacanestro. Attaguile e Cusmano hanno giocato poco. Laudani era la più esperta, quasi un’anziana della pallacanestro, aveva qualche anno più di me. C’erano Grifeo, Romano e Vitale, poi Montantini e Scornavacca erano le più alte, ma arrivavano a poco più di 170 cm! Maria Rapisarda era una bravissima cestista e altrettanto brava ragazza, ci sentiamo ancora. Ricordo che andavamo insieme a giocare e i suoi genitori ci mettevano a “guardia” il fratellino, che lei prendeva per mano e sballottava per la strada!»

Le catanesi che vincono la Coppa Sicilia 1950

La squadra era seguita ed aveva anche uno spazio regolare su “La Sicilia”, seguito da Candido Cannavò: «Me lo ricordo magro magro, avevo l’impressione che gli piacesse qualcuna, ma veniva al seguito della squadra e fece i suoi primi passi nel giornalismo con noi. Quando vedevamo il nome sul giornale era una felicità per tutte». Cannavò seguiva anche la squadra maschile, che disputava la Serie C. «Ci facevano allenare con i ragazzi, ma difficilmente con la prima squadra. Anche i bambini delle medie erano più bravi e correvano, come un certo Reito. Tra i più grandi ricordo invece Ferrara e Saverio Lajacona, alto e biondo».

La Alberti sorride. «Amavo la pallacanestro, era un periodo semplice, eravamo poveri ma belli. Non avevamo nulla, ma erano tempi più belli. Avevamo anche tanti tifosi, tra cui c’era il mio futuro marito Alberto Inserra. A lui però lo sport non piaceva molto e quando abbiamo deciso di sposarci mi sono ritirata». Il corso di laurea in Lettere, poi, non sembrava darle molto tempo. «In realtà, avrei continuato a giocare anche studiando. Avrei voluto fare l’Isef, ma studiare a Roma era troppo per quei tempi».

Il Cus Catania vincitore del campionato propaganda 1950-'51; la Alberti è accosciata, la prima da sinistra

Ma non si è chiuso qui il rapporto di Tita Alberti con lo sport. «Nei primi anni di insegnamento, ho fatto la supplente al Cutelli. Santo Caponnetto insegnava lì e mi chiese di allenarmi. Sognavo questo momento, tanto che fino a una certa età sognavo di tornare davanti a un canestro e tirare! Poi ho insegnato a Nesima, alla scuola media e ho avuto Santino La Fauci come alunno. Andai anche a vedere Sport Club-Ignis, portavo i miei figli al palazzetto: Pippo Famoso era molto bravo, ma alle mie figlie piaceva Diomede Tortora»

Ancora oggi, malgrado qualche nome attuale non le rimanga in testa, continua a seguire lo sport. «Di recente ho visto l’Australian Open, mi piacevano anche Michael Jordan e Manu Ginóbili quando seguivo l’NBA. Bisogna figurarsi che le mie amiche spesso si imbarazzano quando parlano con me: loro non ne capiscono…» Si emoziona così una delle nonne della nostra pallacanestro: «La pallacanestro mi è rimasta nel cuore!».

Roberto Quartarone