Don Haskins, il coach che cambiò colore al basket!

Un passato da giocatore non esaltante, poi l’invocazione dei Texas Western Miners… Sette coloured nelle finali NCAA del 1966… Domani sera su Rai1 il film “Glory Road”… 

. La formazione dei Texas Western Miners (sette neri, cinque bianchi) che disputò uno strepitoso campionato NCAA nel 1966. Don Haskins è il primo in alto a destra. (da www.spazionba.it)

«Io misi in campo, semplicemente, i migliori giocatori della squadra, e risultò che erano tutti neri…». Con questa candida confessione, l’allenatore di basket Don Haskins giustificò – a distanza di tempo – una decisione clamorosa, destinata a segnare una tappa fondamentale nel lungo e travagliato cammino della integrazione afroamericana. Nel 1966 il colore nero della pelle era ancora oggetto di pesanti discriminazioni, specie in uno stato come il Texas, profondo Sud degli Stati Uniti. Si tollerava a mala pena che tra i tanti bianchi – nello sport come in ogni altro settore della vita pubblica – ci potesse essere un protagonista di carnagione diversa; figuriamoci una squadra di basket dove, un bel giorno, il coach decise di impiegare solo i coloured, lasciando i white a scaldare la panchina. Prima o poi doveva accadere. Don Haskins ebbe il coraggio – e forse anche la sfrontatezza – di farlo nel momento meno atteso e nel modo più sorprendente. Forse voleva solo vincere una partita; si guadagnò l’ingresso nella storia!

Donald Lee (Don) Haskins era originario di uno stato confinante col Texas, l’Oklahoma, dove i bianchi come lui avevano colonizzato il ricco territorio e ne avevano preso in mano il controllo. Il suo passato da giocatore non era stato esaltante, ma per il suo futuro di allenatore aveva sicuramente appreso molto da Hank Iba, il coach che avrebbe poi guidato la rappresentativa USA e che – suo malgrado – sarebbe stato ricordato più per l’argento rimediato dopo la sconfitta con l’URSS alle Olimpiadi di Monaco ’72 (quella dei famigerati tre secondi finali) che per le due medaglie d’oro conquistate nelle precedenti edizioni di Tokyo ’64 e Città del Messico ’68. Insegnava basket alle giovinette del liceo, Don Haskins, quando gli giunse una chiamata dagli universitari dei Texas Western Miners, squadra ormai allo sfacelo, in preda a una grave crisi economica e di risultati: non era un’offerta, ma una invocazione di aiuto. Accettò.

La grinta in panchina di Don Haskins, soprannominato «The Bear» per i suoi modi duri; nel film «Glory Road» l’interpretazione è affidata all’attore Josh Lucas (da city-data.com)

Le sue qualità vennero subito a galla. Era duro ed esigente negli allenamenti (e per questo venne soprannominato «The Bear», l’orso), amava il gioco veloce e le penetrazioni a canestro, voleva con lui solo giocatori motivati e disposti a sacrificarsi. E soprattutto, aveva una voglia matta di vincere! Si rese subito conto che con i giocatori bianchi che gli avevano messo in mano non avrebbe ricavato granché. Così volle rischiare in prima persona. Cominciò a girare alla ricerca di alternative valide, e scoprì che qualche cestista di colore – pescato qua e là – poteva fare al caso suo. Uno, due, tre… un inserimento dietro l’altro, arrivarono a sette i coloured, lasciando in minoranza (cinque) gli autoctoni dalla pelle chiara. Era una squadra tutta da costruire e da amalgamare, ma Haskins credeva nel suo lavoro e nelle sue ambizioni, e i risultati non tardarono ad arrivare.

Nel campionato NCAA del 1966 il cammino dei Texas Western Miners fu davvero strepitoso, al di là di ogni ottimismo. Un percorso di tutte vittorie, tranne una, fino all’impensabile approdo alla finale: là bisognava vedersela con i Wildcats Kentucky, squadra composta da dodici cestisti bianchi che sembrava circondata da un’aura di imbattibilità, anche per il carisma del suo allenatore Adolph Rupp (che avrebbe concluso i suoi 42 anni di carriera, sempre sulla stessa panchina, con quattro titoli nazionali). La sera prima del tanto atteso match, Haskins meditò la sua decisione di mettere in campo soltanto i giocatori neri (il quintetto titolare, più due panchinari), diversamente da come aveva fatto fino a quel momento. Non anticipiamo la maniera (assolutamente originale) e le parole (coinvolgenti quanto mai) con le quali comunicò la sorpresa ai suoi giocatori, e neanche l’esito di quella finale, perché si potranno scoprire dalle immagini del film «Glory Road – Vincere cambia tutto», in onda domani sera alle 21 e 20 su RAI 1.

È la prima TV di un film che molti appassionati di cinema, oltre che di basket, conoscono già. Uscito nel 2006, racconta appunto della storia  – vera – dell’allenatore Don Haskins e della sua memorabile «apertura» ai giocatori afroamericani, che in un colpo solo abbatté tante barriere razziali negli Stati Uniti. Dall’anno dopo, gli atleti di colore (cestisti e non) cominciarono la loro inesorabile colonizzazione in tutti gli sport, specie in quelli di squadra, dove era più difficile inserirsi. Haskins è scomparso nel 2008, a 78 anni, appena in tempo per assistere al film che lo ha celebrato (interpreta il suo ruolo l’attore Josh Lucas, mentre Jon Voight veste i panni dell’avversario Rupp) e per vedere il suo nome, nel 1997, entrare nella più prestigiosa galleria del basket mondiale, la Naismith Memorial Basketball Hall of Fame. Galleria nella quale, dieci anno dopo, venne accolta l’intera squadra dei Texas Western Miners di quella indimenticabile stagione.

Al coach di Oklahoma è stata inoltre intitolata l’arena cestistica della Università del Texas, il Don Haskins Center, un meraviglioso impianto di forma ottagonale, con una capienza di circa 12.000 posti, in grado di ospitare anche importanti eventi di altra natura. Mentre Glory Road, oltre al titolo del film, è adesso anche il nome di una strada di El Paso, la città texana che fu teatro della vicenda. Entrambi sono rimasti immortali: il personaggio del basket e il film che a lui si è ispirato!

Nunzio Spina