Fortitudo Agrigento, ingredienti per il successo
Il ds Cristian Mayer parla del presente e dei progetti

Intervista al dirigente che guida la Fortitudo dal 2010… «In A2 contano le motivazioni»… «I giocatori scelti per l’umiltà»… «Piazza, gigante tra i giganti»… La città, le giovanili, il progetto…

2016-024_CristianMayer

La Fortitudo Agrigento è entrata di prepotenza nell’Olimpo delle migliori società siciliane. È passata una vita da quando lasciò le secche della Serie B Dilettanti (vincendo il primo turno contro la Virauto) per una vita migliore ai piani alti. Da allora, ha ottenuto una sola retrocessione, altre due promozioni, una Coppa Italia di DNB e la finale per la Serie A1. Impensabile per una società che solo dieci anni fa era in C1 e che ora è lanciatissima in un girone di ferro di A2 dopo la vittoria in casa della capolista Scafati, dove gioca l’ex Marco Portannese. Pochi giorni fa, Cristian Mayer ci ha spiegato gli ingredienti che stanno facendo grande la squadra biancazzurra, concentrandosi sul progetto in generale.

Il PalaMoncada, ampliato di mille posti (foto R. Quartarone)
Il PalaMoncada, ampliato di mille posti (foto R. Quartarone)

Nel girone Ovest di Serie A2 militano molte squadre blasonate.

«Il campionato è pieno di insidie – spiega il direttore sportivo veneto, trapiantato nella valle dei Templi dal 2007 e dal 2010 dietro la scrivania –, qualsiasi squadra può vincere con un’altra. Affrontiamo gli avversari con il massimo rispetto. Il tasso tecnico non è elevato come l’anno scorso, non è l’A1, ma sono le motivazioni che fanno la differenza». 

E quali sono le motivazioni della Moncada?

«Abbiamo cercato di mantenere più possibile il roster per le motivazioni. Perdere la finale dello scorso anno ha bruciato a tutti, soprattutto ai giocatori, che hanno voglia di rifarsi. È difficile ripetersi, ma hanno dentro la motivazione di fare bene quest’anno, nonostante la lunga assenza di Alessandro Piazza».

Quale rapporto si è costruito con la città in questi anni?

«La squadra ha fatto grandi passi avanti in cinque anni, ma il rapporto con la città è cresciuto molto piano. È positivo che non abbiamo perso i tifosi guadagnati. Il presidente ha voluto ampliare il palazzetto, sia per tacere chi diceva che non volessimo andare in Serie A, sia per dare un segnale importante all’ambiente. Il PalaMoncada per la finale era inadeguato, se avessimo avuto 5 mila posti li avremmo riempiti. Con mille posti in più, risultano un po’ più di vendite al botteghino».

La Moncada Agrigento schierata contro Siena (foto R. Quartarone)
La Moncada Agrigento schierata contro Siena (foto R. Quartarone)

È molto interessante il vostro impegno nel sociale.

«Con le scuole collaboriamo da tanti anni. Non facciamo grandi proclami per gli eventi sociali, a cui il presidente tiene moltissimo, cerchiamo solo di fare del bene».

Cosa manca per la Serie A?

«Manca tanto, se si fa il paragone con Milano o con le vecchie Treviso o Virtus Bologna, società super organizzate, precise, puntuali, quasi stile NBA. La crisi economica ha fatto abbassare gli standard, ma noi conosciamo i nostri pregi e difetti, abbiamo adottato un sistema quasi di famiglia per poter far sentire meglio i giocatori. O si è estremamente precisi e si può pretendere altrettanto, o si dev’essere come un padre di famiglia e cedere in qualcosa».

Qual è la filosofia del vostro mercato?

«Stiamo attenti nella scelta dei ragazzi, che abbiano l’umiltà giusta, e questo ci aiuta nel gestirli. Nella mia lunga carriera ho visto persone che fanno le squadre con le statistiche, non è il nostro caso, vogliamo far migliorare o recuperare i giocatori in base alle caratteristiche tecniche. Un giocatore che viene da un anno “no”, può ritornare utile se ha una grande motivazione. Se è uno che si lascia andare non lo cerchiamo».

Kelvin Martin a canestro in Agrigento-Siena (foto R. Quartarone)
Kelvin Martin a canestro in Agrigento-Siena (foto R. Quartarone)

Il lavoro si riflette anche nel settore giovanile…

«Sicuramente non è un lavoro facile. Il materiale umano non è florido come in Serbia o Bosnia, dove tutti sono oltre i due metri. Il fatto che la prima squadra sia cresciuta tantissimo ha aumentato il gap tra giovanili e prima squadra, e questo è una grande difficoltà. Spero che i ragazzi capiscano che bisogna sacrificarsi per arrivare a un certo livello. È una generazione viziata e capire il senso del sacrificio è difficile. Il gruppo del ’98 ha qualche ragazzo di prospettiva: li stiamo guardando e valutando, molti si allenano in prima squadra, speriamo che nasca in loro la motivazione per diventare giocatori importanti. Alessandro Piazza è l’esempio più lampante e più facile, con una statura normale fa il gigante fra i giganti».

Qual è il rapporto con le altre società siciliane?

«C’è molto campanilismo, noi compresi. I rapporti sono cordiali e di rispetto ma non di grande collaborazione, ma stenta un po’ a decollare. Sono molto amico di Ugo Ducarello, con lui ci siamo scambiati opinioni, quest’anno lo facciamo e mi aiuta, sperando che non faccia l’opposto di ciò che mi dice! Ovviamente scherzo!»

Scott Eatherton sul perimetro (foto R. Quartarone)
Scott Eatherton sul perimetro (foto R. Quartarone)

Quali sono i progetti a medio termine per la Fortitudo Agrigento?

«Ho cercato di portare avanti l’idea della progettualità triennale. È difficile fare qualcosa più a lungo. Questa società ha dato segnali importanti. Pensiamo al frettoloso esonero di Sacchetti a Sassari: noi abbiamo dato fiducia a Esposito quando siamo retrocessi anni fa, non abbiamo fatto nessun proclama e abbiamo pagato gli stipendi di tutti, questo sembrava strano ma ci ha portato dei grandi vantaggi, soprattutto con i procuratori che hanno dato fiducia alla società. Con Franco Ciani siamo qui da tanti anni. Il presidente ha dato segnali di continuità: qui si può lavorare, si può migliorare, non ottenere dei risultati altisonanti. Così come nelle giovanili, gli vogliono tutti vincere le partite, mentre lo scopo dev’essere creare giocatori. Il team è nato in maniera naturale, è nata una sintonia comune tra tutte le componenti».

Roberto Quartarone
Twitter: @rojoazul86

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