«Non ha senso far giocare stranieri
che non diventeranno mai “italiani”»

L’inchiesta su “La Sicilia” sulla formazione italiana e sull’impiego di giocatori che non possono raggiungerla (disputando quattro stagioni nel settore giovanile)… Parlano Cantone, Bianca, Sindoni, Russo, De Fino, Terrasi e Recupido…

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Il basket è stato uno dei primi sport multietnici, se si eccettua il calcio: stranieri di tutte le nazionalità hanno calcato i parquet italiani, alcuni arrivando anche in Nazionale come naturalizzati, e anche in Sicilia le squadre maggiori attingono al mercato straniero, non solo made in Usa.

Ogni tanto si vede qualche cestista “esotico” anche nei campionati giovanili e ovviamente se ne parla tra gli allenatori. Per la FederBasket, chiunque può acquisire la “formazione italiana”, cioè lo status che permette di giocare nei campionati anche senza la nazionalità: basta giocare almeno quattro anni nelle giovanili.

Non è un dettaglio: tutti i campionati senior hanno delle restrizioni in tal senso e un giocatore che non ha il vincolo dell’essere considerato straniero può muoversi molto più liberamente da una squadra a un’altra.

A CHILOMETRI ZERO. Le due formazioni siciliane giovanili più titolate negli ultimi anni, ovvero i ’98-’99 della Fortitudo Agrigento e i ’00-’01 della Pégaso Ragusa, sono squadre costruite “a chilometri zero”. «Il nostro orgoglio è che i ragazzi sono tutti siciliani» ha detto ieri su queste pagine Riccardo Cantone, presentando il suo roster, quasi tutto agrigentino. «Non ha senso far giocare stranieri che non diventeranno mai di formazione italiana – prosegue il coach dell’Under-18 agrigentina –, il paradosso sarebbe che arrivassero alle finali nazionali squadre di soli giocatori che non saranno mai italiani».

L’attività giovanile dovrebbe infatti servire proprio per stimolare i talenti che possano poi dare un contributo alla crescita della pallacanestro italiana.

«Il senso della formazione giovanile – continua – dovrebbe essere creare giocatori (italiani o stranieri) che completino il percorso con lo status di “italiani”, se no vince chi ha soldi e può prendere stranieri che facciano la differenza, non chi fa la migliore attività di base. Aggiungo che si dice che l’attività giovanile dovrebbe essere svolta in modo più professionale: sono d’accordo e bisogna anche investire in questo».

TEMPO E RISORSE. L’attività giovanile a livello regionale è osservata in questa stagione da due attenti allenatori, il palermitano Federico Vallesi e il siracusano Andrea Bianca, referenti tecnici territoriali. Sono loro a organizzare le selezioni regionali e dunque hanno una visione d’insieme molto chiara: «È un’evidenza – spiega Bianca – che dare spazio a giocatori stranieri che non possono arrivare alla formazione italiana toglie minuti ai nostri ragazzi, e dall’altro destina risorse, energie e tempo a giocatori che avranno un utilizzo limitato nella nostra pallacanestro».

Il rtt ha anche in mente gli esempi virtuosi di chi, in questo percorso, investe sul proprio territorio e fa reclutamento in loco. «Ci sono varie realtà. Cito Agrigento, che sta investendo ed è ammirevole, ma anche la Pégaso Ragusa; faccio anche i complimenti al Cus che dà continuità al suo lavoro degli ultimi anni. Sono questi i modelli a cui ispirarci, da lì parte il lavoro di tutti».

STRANIERI, MA ITALIANI. L’esempio di chi invece sta provando a portare avanti un progetto coinvolgendo anche stranieri, è l’Orlandina Basket. «Sono assolutamente favorevole all’apertura agli stranieri – spiega il ds Peppe Sindoni –. Le contingenze economiche portano l’Italia della pallacanestro a essere ambìta da ragazzi che altrove non hanno le stesse possibilità».

Anche a Capo d’Orlando la formazione italiana è l’obiettivo: «Il nostro club punta a costruire atleti per un futuro in prima squadra – prosegue Sindoni –. Vogliamo prendere giovani in età utile per ottenere la formazione e lavorarci per tre-quattro anni in maniera continuativa, anche se due anni e mezzo basterebbero. Nel 2016 parlare di nazionalità come discriminante è anacronistico: abbiamo giustamente un concetto di formazione, ma è anche giusto che un georgiano o uno slovacco che venga fatto sviluppare con capitali italiani, da allenatori italiani e in strutture italiane possa competere come un atleta italiano».

Il dirigente allarga anche lo sguardo: «Siamo lieti di ampliare la rete di scouting, con stage e provini. La strada che stiamo intraprendendo dal punto di vista sportivo e culturale farà crescere tutti i componenti, è intrigante».

Roberto Quartarone

 

Oggi un’italiana rischia di dover giocare da… straniera

Anche nella femminile, in una manciata di casi, si sta facendo ricorso alle giocatrici straniere. È la Passalacqua Ragusa ad aver portato recentemente alcune ragazze in Sicilia, da far crescere in casa.

«È un discorso complicato – spiega Gianni Recupido, responsabile delle giovanili biancoverdi –. Per noi portare delle straniere è un’opportunità, perché, visto il basso numero di tesserate nel basket femminile, queste ragazze ci aiutano a innalzare il livello fisico. Sono d’accordo quindi ad accoglierle a patto che le ragazze possano diventare di formazione italiana, anche perché è un sistema ben regolamentato».

La Federazione Internazionale ha infatti messo dei paletti molto rigidi nel trasferimento dei minorenni. «I costi sono alti – prosegue Recupido –, la FIBA chiede documentazioni e tasse; dunque è una pratica che comporta investimenti. Prendiamo quindi solo ragazze che possano ottenere lo status di italiane».

È la formazione delle italiane il cruccio di Recupido. Sembra un’assurdità, ma una ragazza al 100% siciliana potrebbe anche dover giocare da straniera in campionato. «È aberrante e vergognoso… Se dovessimo trovare un’ottima atleta 18enne italiana o straniera nata in Italia mai stata cestista, non potrebbe giocare da italiana, perché non avrebbe fatto i quattro anni giovanili».

A questa situazione si aggiunge il rischio concreto che ogni anno una giocatrice non disputi il numero minimo di partite richiesto, 14. «Spesso i campionati si chiudono con meno di 14 partite – prosegue il coach –, quindi se una ragazza ha la febbre o problemi con la scuola rischia di perdere un anno intero. Lo ha rischiato Simona Sorrentino, che sta completando la formazione con la Lazùr U-20; l’Under-18 invece chiude ora con 11 partite e in questo modo si rischia di perdere una stagione. Ci vorrebbero regole che aiutino».

Il consigliere regionale della FIP Giuseppe Terrasi su questo però ha qualcosa da aggiungere: «La formazione vuole anche porre un limite al reclutamento estero incondizionato – spiega –. Rispetto ai limiti e alle regole attuali per la formazione, se ci sono casi con problemi particolari, le possibili eccezioni vengono prese in considerazione».

R.Q.

 

«Sarebbe più logico fare attività solo con elementi locali»

Oltre a Ragusa e Agrigento, anche Catania è tra gli esempi “virtuosi” citati dal rtt Bianca di attenzione al territorio: «Lavoriamo con i ragazzi nostri, come abbiamo sempre fatto – spiega l’allenatore dell’U-15 del CUS, Gaetano Russo –. La questione è nata qualche anno fa, quando ci si è accorti che formare un italiano costava più che prendere uno straniero, ma oggi la questione si è calmata e si potrebbe tornare alla tradizione, lavorando solo sui ragazzi locali. Non è un discorso razzista, tutt’altro: a livello lavorativo valgono le regole dell’Unione europea, ma nello sport dilettantistico sarebbe più logico fare attività solo con elementi locali. Noi al Cus siamo contenti di quello che facciamo e non sentiamo il bisogno di prendere ragazzi stranieri».

È d’accordo Natale De Fino, presidente del Gravina, che però introduce un altro argomento di discussione. «Prendere ragazzi che non arriveranno ad avere la formazione italiana è un’arma a doppio taglio – afferma –. Sono d’accordo con Cantone sull’importanza di lavorare su giocatori che raggiungano la formazione italiana. Tuttavia, al Nord molte società lo fanno e ci ho pensato anche io per la necessità di trovare dei pivot per le giovanili, che oggettivamente sul territorio non abbiamo. Credo che in futuro ci sia il rischio che si radichi perché c’è chi preferisce prendere un giocatore già formato, da legare con il parametro Nas e generare un ritorno economico a ogni tesseramento. È una strategia».

A chiudere il quadro, anche il consigliere regionale FIP delegato all’attività giovanile Giuseppe Terrasi guarda le due facce della medaglia: «Le sole realtà regionali che in questo momento hanno intrapreso la via del reclutamento all’estero, Ragusa e Capo d’Orlando, hanno operato scelte che stanno pagando positivamente – spiega –. Gli inserimenti fatti hanno migliorato la qualità tecnica dei loro gruppi. Non è però pensabile di migliorare il livello dell’attività giovanile con il solo reclutamento estero. Settori giovanili di qualità si realizzano creando strutture organizzative e tecniche, facendo investimenti, altrimenti il reclutamento “allargato” rimane solo una soluzione tattica in grado di far vincere solo qualche titolo regionale in più».

R.Q.

da La Sicilia, p. 22

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