Europei di basket: Ginevra 1946
Ultimo podio dello stemma sabaudo!

Medaglia d’argento in una finale decisa nel finale dai tiri liberi… Rinuncia l’Unione Sovietica… Le prime volte di Stefanini e Rubino… 

La Nazionale italiana all'Eurobasket 1946
Ginevra 1946: la Nazionale italiana. Si riconoscono in alto: il c.t. Mino Pasquini, Sergio Stefanini e Cesare Rubini (rispettivamente, il primo, il quinto e il sesto da sinistra); in basso: Giancarlo Marinelli (il primo da sinistra) (da “60 anni di basket”).

La neutralità della Svizzera offriva lo sfondo più rassicurante al ritorno dell’Eurobasket dopo la lunga pausa imposta dal conflitto mondiale. Qualsiasi altro luogo – con le ceneri ancora calde – avrebbe facilmente potuto scatenare incidenti diplomatici e mettere a rischio il regolare svolgimento della manifestazione. Si giocò nuovamente a Ginevra, la città della prima edizione. Di rinunce importanti, alla fine, se ne registrò solo una, ma trattandosi di quella dell’Unione Sovietica, che nel ’40 aveva occupato i paesi baltici, il tabellone venne alquanto stravolto: all’appello, infatti, mancavano la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, le rappresentative che (soprattutto le prime due) si erano fino allora messe più in luce. Sarebbe trascorso quasi mezzo secolo prima che l’alternarsi delle vicende politiche restituisse i loro nomi alla mappa cestistica.

Ripartiva il basket europeo, dunque, come tutte le discipline sportive, come tutte le altre attività della vita quotidiana. Ginevra peraltro, sede della FIBA (Federation Internazionale de Basket-ball Amateur), offriva l’occasione per pianificare i programmi futuri. Si stabilì che i campionati europei avrebbero dovuto disputarsi ogni due anni: quelli maschili negli anni dispari, quindi si doveva tornare in campo già l’anno successivo; quelli femminili negli anni pari. Da allora fino a oggi, la storia non sarebbe stata più riscritta.

La Nazionale italiana accettò ancora una volta l’invito, nonostante il nostro paese fosse stato uno dei teatri che aveva subìto le maggiori devastazioni. Tutto era in ginocchio, figuriamoci lo sport. Dopo l’ultima apparizione ufficiale agli Europei del ’39, gli azzurri si erano esibiti soltanto in un doppio confronto amichevole con la Germania nel ’41 – ostentazione di alleanza militare, più che altro – e poi in uno contro l’Ungheria nel luglio del ’42, che aveva fatto registrare il debutto di Sergio Stefanini, uno dei giocatori più rappresentativi del dopoguerra. Il campionato era andato avanti fin dove aveva potuto, assegnando ancora due scudetti alla Ginnastica Triestina (’40 e ’41) e altrettanti all’emergente Reyer Venezia (’42 e ’43), che poi non si vide omologare il titolo del ’44 perché praticamente si giocava (o non si giocava!) sotto la minaccia delle bombe. Dopo un anno di inattività, nella stagione ’45-’46 era stata la volta del primo scudetto di Bologna, con le «V nere» della Virtus. Da queste tre squadre, non a caso, furono selezionati gli otto undicesimi della formazione che si presentò a Ginevra: Albino Bocciai e Mario Cattarini della Triestina, i fratelli Sergio e Giuseppe Stefanini, Marcello De Nardus e Armando Fagarazzi della Reyer, Giancarlo Marinelli e Venzo Vannini della Virtus, gli unici due (questi ultimi) superstiti dell’epoca pre-bellica, Marinelli addirittura fin dalla prima edizione. A completare la rosa, tre elementi della squadra di Milano: Valentino Pellarini, Tullio Petacco e Cesare Rubini.

Lo stemma sabaudo sulla bandiera tricolore. Il secondo argento europeo nel basket lo celebrò in una delle ultime occasioni, prima che venisse cancellato dall’avvento della Repubblica.
Lo stemma sabaudo sulla bandiera tricolore. Il secondo argento europeo nel basket lo celebrò in una delle ultime occasioni, prima che venisse cancellato dall’avvento della Repubblica.

Arrivò un’altra medaglia d’argento per l’Italia, inattesa come quella conquistata nel ’37 a Riga; e anche stavolta col rammarico di avere mancato per un soffio il primo posto. Il commissario tecnico era Mino Pasquini, che da giocatore aveva partecipato a quella edizione lettone dell’Europeo e alla successiva di Kaunas. Ripristinata la formula a gironi, la squadra azzurra ebbe facilmente la meglio su Ungheria (39 a 31), Polonia (40 a 25) e Lussemburgo (73 a 15). In semifinale venne fatta fuori la Francia con uno scarto netto (37 a 25), e questo rappresentò il vero risultato a sorpresa, contro un avversario che si era rivelato sempre ostico per noi. Nella finalissima contro la Cecoslovacchia stava per realizzarsi la grande impresa: la sconfitta di soli due punti (34 a 32) arrivò soltanto con i tre tiri liberi (tre!) realizzati da tal Josef Krepela, e assegnati per un fallo tecnico commesso dalla panchina (l’ingresso in campo per la terza volta di un giocatore, il regolamento di allora non lo permetteva). Tra gli avversari, oltre a Krepela, brillò la stella di Ivan Mrazek, destinato a una carriera piena di successi, sia come giocatore (tre medaglie d’argento in successive edizioni degli Europei), che da allenatore (con la stessa Nazionale cecoslovacca e nel campionato italiano, col Petrarca Padova nella stagione ’69-’70).

Il cestista azzurro che si mise maggiormente in luce fu il ventiquattrenne Sergio Stefanini, il maggiore dei due fratelli, che a parte i canestri realizzati (miglior marcatore per la sua squadra) dimostrò davvero di essere, per quei tempi, un fuoriclasse; alto 1 e 86, accoppiava alle doti atletiche (velocità ed elevazione gli permettevano di gareggiare pure nei 400 piani e nel salto in alto) anche quelle tecniche, in particolare il tiro in sospensione dalla distanza, numero non ancora alla portata di tutti. Il suo talento sarebbe esploso prima, se la guerra non gli avesse rubato qualche anno; l’Italia se lo vide sfuggire proprio dopo la conquista di quell’argento, perché espatriò in Brasile, terra d’origine della madre, e giocò pure con la Nazionale di quel paese. Fu poi Bogoncelli, abile dirigente dell’Olimpia Milano, a richiamarlo in Italia e a spianargli la strada verso il ritorno nella Nazionale italiana, oltre che verso la conquista di ben cinque scudetti, con quattro titoli di capocannoniere.

Se Stefanini si era distinto anche nell’atletica leggera, altri due compagni di quella spedizione svizzera si erano cimentati, con maggior successo, in altre discipline di squadra. Mario Cattarini aveva addirittura giocato nella serie A di calcio con la maglia della Triestina, nella stessa stagione (’39-’40) in cui aveva vinto il primo dei suoi due scudetti nel basket. Cesare Rubini, triestino anche lui ma emigrato a Milano, concedeva il suo fisico e la sua passione anche alla pallanuoto ad alto livello, e prima o poi si sarebbe trovato costretto a fare delle scelte importanti.

Sul podio della premiazione, oltre alla Cecoslovacchia, salì per la prima volta anche l’Ungheria, medaglia di bronzo grazie alla vittoria finale sulla Francia e al contributo di Ferenc Nemeth (eletto miglior giocatore del torneo), che proprio in Francia avrebbe poi trasferito la sua carriera.

Il tricolore italiano, invece, tornava a sventolare dopo nove anni: era il 4 maggio, c’era ancora lo stemma sabaudo, ma meno di un mese dopo, il 2 giugno del 1946, sarebbe stato cancellato dalla nascita della Repubblica Italiana.

Nunzio Spina

Kaunas 1939Praga 1947

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