Europei di basket: Liegi 1977
Italia batte URSS, ma non basta!

Da quattro edizioni su e giù dall’ultimo scalino del podio… Entusiasmo alle stelle dopo il girone eliminatorio… Vendemini, un talento perduto…

Il logo del XX Campionato Europeo maschile di basket, per la prima volta disputato in Belgio.

Nel festival delle illusioni, e delle grandi occasioni perdute, il basket italiano si guadagnò a Liegi un posto da primato. Avrebbe potuto disputare la finale per il primo oro europeo della sua storia, si ritrovò a perdere quella per il bronzo! Su e giù dall’ultimo scalino del podio, così da quattro edizioni. La Nazionale di Giancarlo Primo non si smentiva. Arrivava sempre lì, tra le prime cinque, in qualsiasi manifestazione si presentasse (al suo curriculum aveva appena aggiunto il quinto posto alle Olimpiadi di Montreal dell’anno prima), ma non bastava per raccogliere unanimi consensi. Si voleva di più di un terzo posto; se si arrivava quarti, la parola “delusione” risultava la più abusata nei commenti.

Sicura delle proprie potenzialità, la squadra sembrava in effetti esserlo più delle altre volte. Era reduce dal bronzo di Belgrado ’75, dietro a Jugoslavia e URSS; a Montreal aveva dovuto cedere il passo, in più, solo a Stati Uniti e Canada, confermandosi così la terza forza europea. Quando a Liegi concluse il girone di qualificazione con cinque vittorie su cinque, dopo avere anche sconfitto i sovietici (per la prima volta in una competizione ufficiale), tutti ebbero la netta sensazione che fosse finalmente giunta l’ora del tanto atteso exploit… Ma andiamo con ordine.

 

La Nazionale italiana all’Europeo di Liegi. In piedi da sinistra: Della Fiori, Serafini, Meneghin, Vecchiato, Bariviera, Ferracini; in basso, Bonamico, Carraro, Caglieris, Iellini, Marzorati (da Museo del basket Milano).

Era la prima volta del Belgio come paese organizzatore degli Europei. E che avesse bisogno di una “rianimazione cestistica” non vi erano dubbi. L’ultima sua partecipazione risaliva a dieci anni prima (Helsinki ’67, quindicesimo su sedici); il suo massimo traguardo era stato un quarto posto, ma si parla di Praga ’47, preistoria. Per la formula di svolgimento, che in Jugoslavia si era concessa una bizzarra licenza, ci fu il ritorno alla tradizione più recente: due gironi di qualificazione da sei, le prime due a giocarsi direttamente semifinali e finali. E due sole le sedi: Liegi, capitale della regione francofona della Vallonia, e Ostenda, città fiamminga di lingua olandese, affacciata sul Mare del Nord.

Italia nel girone di Liegi, con Francia, Israele, Austria, URSS e Bulgaria. Fatte fuori tutte, nell’ordine: cinque punti lo scarto minimo (contro un Israele che cominciava ad alzare la cresta), diciannove quello massimo (contro la sempre temibile Bulgaria). Fuori tutte, compresa l’Unione Sovietica, che fino ad allora ci eravamo permessi di battere solo in un torneo amichevole estivo in casa nostra. Partita impeccabile da parte degli azzurri (altrimenti sarebbe stata impossibile la prodezza), 95 a 87 il finale (con 19 punti di Carraro e 16 di Iellini), entusiasmo alle stelle in quei giorni di metà settembre.

Entrata a canestro in bella elevazione di Lorenzo Carraro, uno dei più positivi della squadra a Liegi (13.9 di media punti); segue il contropiede Jellini (da Giganti del basket, n° 9, 1977).

Primo era rimasto fedele alla sua già collaudata intelaiatura di squadra, respingendo le invocazioni di cambiamenti radicali piombategli addosso all’indomani del “disdegnato” quinto posto olimpico. Ancora loro: Meneghin, Marzorati, Bertolotti, Bariviera, Della Fiori, Iellini, Ferracini, Carraro. Per sostituire uno dei quattro che avevano dato, in maniera del tutto naturale, l’addio alla Nazionale (Bisson, Brumatti, Recalcati, Zanatta), era stato richiamato Serafini, che aveva disputato l’Europeo di Essen ’71 e di Barcellona ’73. Quindi solo tre i nomi nuovi: Carlo Caglieris, play non più giovanissimo (26 anni), una massa di muscoli in soli 177 centimetri, doti notevoli di palleggiatore e passatore; Marco Bonamico, 20 anni, ala di 2 e 01, gran lottatore, reduce dall’avere conquistato lo scudetto, assieme a Caglieris, con la Virtus Bologna; Renzo Vecchiato, pivot di 2 e 07, ottimo rimbalzista, nella partita vittoriosa con l’URSS neutralizzò l’urto dell’emergente Tkachenko, un gigante di 2 metri e 20 che si muoveva goffamente in campo, ma se prendeva palla sotto canestro erano dolori.

Renzo Vecchiato, assistito da Toio Ferracini, strappa un rimbalzo nella semifinale contro la Jugoslavia (da Giganti del basket, n° 9, 1977).

La disillusione si consumò nel breve spazio di due partite, per i colori azzurri; e fu anche un po’ beffarda. Nel girone di Ostenda, la Cecoslovacchia aveva riservato ai due volte campioni in carica della Jugoslavia lo stesso trattamento da noi inflitto ai sovietici, sconfiggendoli con un sonante 111 a 103. E quindi ci toccò, in semifinale, fare i conti con l’ira da belva ferita dei cestisti slavi, contro i quali peraltro non ce ne andava mai bene una, nelle occasioni che contavano. Non ci fu nulla da fare: 88 a 69 per la banda di Cosic e compagni, e via il primo sogno. Il secondo, quello di riconquistare almeno il bronzo, svanì proprio contro i cechi (91 a 81), quando la squadra non si era probabilmente ancora ripresa dallo shock. Quarti! Per come si era partiti, e poi arrivati alla fase finale, fu effettivamente una delusione.

 

Si aggiudicò l’oro, per la terza volta consecutiva, lo squadrone della Jugoslavia, sulla cui panchina faceva il suo ritorno trionfale Aza Nikolic, che nei primi anni sessanta si era dovuto accontentare di un bronzo e un argento europeo. Dopo Cosic, era la volta di Drazen Dalipagic di essere premiato come MVP: ala piccola dal tiro preciso, un po’ come la rifinitura dei suoi baffi! In finalissima vennero sconfitti abbastanza nettamente (74 a 61) gli avversari di sempre dell’URSS, dove si era registrato un altro ritorno come allenatore, quella di Gomelsky, alla ricerca dei successi di un tempo (5 ori europei consecutivi dal ’61 al ’69).

 

Drazen Dalipagic, ala jugoslava di origine bosniaca, è stato eletto MVP del torneo. Stella del Partizan Belgrado, ha poi militato anche in varie squadre italiane (da Yuopapir.com).

Fra i tanti rimpianti per il basket italiano, ci fu anche quello di non avere potuto schierare a Liegi uno dei suoi giocatori più promettenti. Si chiamava Luciano Vendemini, un spilungone di due metri e 12, con una insolita mobilità e lassità delle articolazioni. Queste caratteristiche somatiche, che lo rendevano particolarmente versato per la pratica del basket, erano in realtà manifestazioni di una grave malattia ereditaria, la Sindrome di Marfan, che interessava anche altri organi, e in particolare il cuore. Nato e cresciuto nell’entroterra campagnolo di Rimini, Vendemini si era trasferito giovanissimo a Cantù, e da lì si era iniziata la sua carriera, che nel ’73, a soli 21 anni, lo aveva portato a vestire la maglia della Nazionale. Aveva partecipato, da protagonista, alle Olimpiadi di Montreal del ’76, e protagonista lo sarebbe stato sicuramente pure a Liegi, se non fosse stato strappato alla vita il 20 febbraio del ’77, proprio su un campo di gioco, a Forlì. Rottura di un aneurisma dell’aorta; qualcuno aveva già da tempo messo in guardia dal pericolo, altri avevano chiuso entrambi gli occhi e tappato le orecchie. Seguirono tante polemiche e una sola certezza: il basket italiano aveva perso una stella nascente!

 

 

 

Nunzio Spina

Belgrado 1975Torino 1979
Il ricordo di Fabrizio Della Fiori, Giulio Iellini e Pierluigi Marzorati

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