Europei di basket: Torino 1979
Il ricordo di … Charlie Caglieris

Un Europeo giocato in casa… «Delusione e pioggia di critiche per il quinto posto»… … «Coraggio e incoscienza contro l’Urss»…

Charlie Caglieris, qui ripreso con la medaglia d’oro di Nantes, ha disputato in Nazionale tre Europei, un Mondiale e una Olimpiade (da Storie straordinarie).

Carlo (“Charlie”) Caglieris è nato il 2 luglio 1951, a Brescia, ma fin da piccolo si trasferì a Torino, dove è cresciuto. Ci fu un primo approccio col calcio, addirittura nelle giovanili della Juventus (compagno di squadra di Roberto Bettega), poi passò al basket, nell’oratorio Don Bosco Crocetta. Play-maker di 1,78, fisico robusto, si mise in evidenza con le squadre di Biella e di Asti (che giocò a Torino per una stagione), prima di approdare a Bologna, dove vinse tre scudetti con la maglia della Virtus. Quindi il ritorno a Torino (quattro anni) e la fine della carriera a Treviso. Le sue doti: controllo di palla, penetrazione, passaggio ai lunghi, difesa asfissiante. In Nazionale fu lanciato da Primo: debutto nel ’74; prima manifestazione importante l’Europeo del ’77, seguito da quelli del ’79 e dell’83; ha partecipato al Mondiale di Manila ’78 e all’Olimpiade di Los Angeles ’84.

 

“Dei tre disputati, quello di Torino è stato l’Europeo che sicuramente mi ha coinvolto di più a livello personale. Giocavo con la maglia azzurra nella città in cui ero cresciuto, riconoscevo tanti amici in tribuna, il pubblico del Palaruffini   mi sosteneva come un suo beniamino. Tra l’altro, ero reduce dal secondo scudetto conquistato a Bologna, e proprio in quella occasione venni premiato come miglior giocatore del campionato. Diciamo pure che mi trovavo in un ottimo momento di forma, e in campo sono riuscito a farmi valere…”.

Caglieris chiama uno schema d’attacco, in una sua tipica azione da regista (da Conoscere il basket).

“Peccato che la mia buona prestazione non è coincisa con il risultato che tutti si aspettavano dalla squadra. Arrivare quinti in quegli anni, per di più giocando in casa, voleva dire delusione e pioggia di critiche. E infatti Giancarlo Primo, che secondo me è stato un grande allenatore, chiuse là il suo capitolo in Nazionale… Per noi è stata una maledizione la partita del girone di qualificazione giocata a Mestre contro la Cecoslovacchia: sì, c’era il terreno di gioco umido, ma noi non ci reggevamo in piedi perché obbligati a utilizzare scarpette di uno sponsor italiano, che non avevano un buon grip nella suola… Rimediammo una sconfitta che ci pesò fino alla fine”.

“La nostra era una buona squadra, senza quella assurda battuta d’arresto sarebbe tranquillamente potuta arrivare sul podio. Nel girone di Torino ci eravamo riscattati subito, battendo l’Israele, che era un avversario temibile (e infatti arrivò seconda), e la Spagna. Contro la Jugoslavia e l’Unione Sovietica il pronostico era proibitivo; eppure con quest’ultima sfiorammo il colpaccio: io in quella partita ero particolarmente ispirato, riuscii ad andare a canestro anche in entrata contro quei giganti di Tkacenko, Bilostinnyi e Myskin… Devo ammettere che quella volta ebbi molto coraggio e anche un po’ di incoscienza…”

 

 

 

a cura di

Nunzio Spina

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