Gli Europei di Sandro Galleani

Il massofisioterapista che seguì la Nazionale in 15 edizioni… «Mi sono messo al servizio delle squadre, con professionalità»…

 

Sandro Galleani, massofisioterapista storico della Nazionale: ha preso parte a ben quindici campionati europei.

Trentacinque anni di storia della Nazionale maschile potrebbe raccontarli lui, Sandro Galleani, massofisioterapista. Raccontarli non semplicemente come uno che ne ha viste tante, o – se vogliamo usare un linguaggio più appropriato alla sua professione – ne ha scaldati tanti di muscoli e bendate tante di caviglie… Piuttosto come uno che, quegli anni, li ha vissuti nell’intimo della squadra, facendone parte integrante, assorbendone totalmente umori ed emozioni. Non era al servizio dei giocatori, era un loro compagno!

I numeri sono da record inavvicinabili per tutti. Quindici campionati Europei, cinque Olimpiadi, tre Mondiali, tanto per citare solo le manifestazioni più importanti. Per le presenze in totale si è costretti all’approssimazione: circa 700! Ma per quanto consistenti, non bastano questi numeri a rendere l’essenza e l’importanza del suo ruolo. Che, appunto, andava ben al di là di quello del massaggiatore: anche magazziniere, all’occorrenza, e uomo di fatica, preparatore atletico e rieducatore, consigliere e consolatore; un po’ di tutto, all’occorrenza!

Nato a Basiano, nell’hinterland milanese, il 3 marzo del 1944, Sandro Galleani aveva dapprima sposato lo sport del ciclismo; ci aveva provato da praticante, poi a causa di un incidente dovette rinunciare al passaggio nel mondo dei professionisti, dove invece sfondò subito il suo compagno Gianni Motta, che lo volle con sé come massaggiatore. Il campione cambiava squadra (Sanson, Salvarani), Sandro lo seguiva, pur continuando il suo lavoro di operaio. Fino a quando un bel giorno (era l’anno 1971), durante i Campionati Mondiali di ciclismo su pista a Varese – lui promosso nello staff della Nazionale – venne invitato a varcare la soglia del Palasport di Masnago, ed ebbe una sorta di crisi mistica. Lasciò presto ciclismo e fabbrica per il basket, e da allora si mise addosso una maglia, quella della Pallacanestro Varese, che non ebbe più il coraggio di togliersi. Cominciò a massaggiare cestisti ai tempi della grande Ignis, quando in panchina c’era il sergente di ferro Aza Nikolic che predicava professionalità in ogni settore; sarebbe rimasto a Varese per quarant’anni, rinunciando a più di una offerta allettante, perché al suo cuore non poteva comandare.

L’unica altra maglia che fu disposto ad accettare risultò quella della Nazionale. Entrò in Federazione nel ’75, debuttando sul campo l’anno dopo alle Olimpiadi di Montreal. Nel ’77 cominciò la sua epopea di Europei: Liegi ’77 e Torino ’79 (con Giancarlo Primo allenatore, era stato lui a volerlo in azzurro); Praga ’81, Nantes ’83, Stoccarda ’85 (con Sandro Gamba; arrivarono un oro e un bronzo); Atene ’87 (con Valerio Bianchini, che inutilmente poi cercò di portarlo con sé in un club); Zagabria ’89 e Roma ’91 (di nuovo con Sandro Gamba; una medaglia d’argento); Monaco ’93 (con Ettore Messina, col quale però non condivise le due successive edizioni, restando vincolato da Varese); Parigi ’99 e Istanbul 2001 (con Tanjevic; secondo oro); Stoccolma 2003, Belgrado 2005 e Madrid 2007 (con Carlo Recalcati; un altro bronzo). Medaglie per lui, ovviamente, non ce n’erano; ma sul podio non si peritava di salire, come quella volta in cui, alle Olimpiadi di Mosca dell’80, sfidando le regole del cerimoniale, si ritrovò allineato tra i giocatori azzurri con l’argento al collo durante la cerimonia di premiazione. Un altro, di argento olimpico, lo avrebbe poi festeggiato nel 2004, ad Atene. Entrato di prepotenza nell’archivio di foto storiche della Nazionale, nel 2013 la FIP ha legittimato il suo ingresso anche nell’Italia Basket Hall of Fame.

 

Il famoso taglio della retina per la conquista dell’oro a Nantes ’83: Galleani è sulle spalle di Ario Costa

“Volete miei ricordi dei campionati Europei? Quanto tempo ho a disposizione? Qualche aneddoto? Possiamo cominciare da Nantes ’83; la medaglia d’oro sì, ma anche l’occhio nero che mi sono ritrovato al termine della famosa rissa con gli jugoslavi a Limoges. Quando ho visto Kikanovic sferrare una pedata al basso ventre a Villalta, mi è salito il fuoco alla testa: avevano vilmente colpito un mio giocatore, come facevo a restare calmo? Con Gamba abbiamo inseguito Kikanovic, io l’ho placcato, ma nella mischia un altro slavo mi ha fatto sentire il suo piedone in faccia… Tutto poi si risolse a nostro favore, sia quella partita che le altre, fino al trionfo finale; avevo ancora l’occhio nero quando, dopo la vittoria sulla Spagna, Alberto Tonut e Antonello Riva mi issarono sulle spalle di Ario Costa per il rituale taglio della retina, che mi misi al collo come trofeo…”.

“Della seconda medaglia d’oro, sedici anni dopo a Parigi, mi viene in mente quando Andrea Meneghin, negli ultimi secondi della finale, subì un durissimo fallo di gioco dal loro lungo, Reyes; rimasto immobile sul parquet, mi sono precipitato dalla panchina per soccorrerlo, ma resomi subito conto che non era nulla di grave, non feci altro che gridargli «Andrea è finita, abbiamo vinto, abbiamo vinto!»; c’è ancora il filmato, in giro, a testimoniarlo… Anche in quella circostanza, ricordo, mi sono appropriato del trofeo, cioè della retina, e me la misi al collo!”.

“Il bronzo di Stoccolma 2003 è stato bellissimo, una emozione davvero particolare. Pensate che su quella squadra “operaia” di Recalcati ho scritto anche delle poesie… Vi racconto questa. Eravamo arrivati a Stoccolma per la fase finale, dopo avere superato con non poche difficoltà il girone di Lulea e lo spareggio di Norkoeping con la Germania; perso in semifinale con la Spagna, si doveva assolutamente vincere con la Francia per andare sul podio e qualificarsi per le Olimpiadi; i giocatori erano stremati, e nell’allenamento del mattino, il giorno della gara, si vedeva che erano proprio scarichi. Allora chiesi il permesso a coach Recalcati di ravvivare un po’ l’ambiente: presi in mano il microfono e mi misi a cantare «Siamo la squadra più forte d’Europa» parafrasando il successo di Adriano Celentano «Siamo la coppia più bella del mondo»… Insomma feci lo showman, pensavo che in quel momento servisse per fare gruppo. Poi sappiamo come è andata… A fine partita, battuta la Francia, era tanta la gioia che, messomi sulle spalle di Galanda, simulai il taglio della retina… Gli addetti al campo, allarmati, ci fermarono bruscamente: subito dopo c’era la finale per l’oro!”.

Galleani presta le sue cure a Basile, in panchina, durante l’Europeo di Parigi ’99, quello del secondo oro.

“Ho sempre esultato con i ragazzi, così come sono stato loro vicino nei momenti di difficoltà e di delusione. Ho cercato di svolgere il mio lavoro con la massima serietà, pensando in primo luogo alla salute dei giocatori: cura e soprattutto prevenzione, un aspetto quest’ultimo al quale ho dedicato molto del mio tempo. Mi sono però sempre messo al servizio della squadra anche svolgendo altre mansioni, non sentendomi sminuito se c’era da raccogliere le tute dalla panchina, portare l’acqua o le borse, anche cucire bottoni o uno strappo alla divisa… E poi ci tenevo a fare, come si suol dire, «spogliatoio»: le vittorie nascono là, e anche il contributo di un massaggiatore può rilevarsi importante!”

“Certo, adesso i tempi sono cambiati, le professionalità si sono moltiplicate e perfezionate, ed è giusto così. Però credo che qualsiasi sia il ruolo che viene svolto nell’ambito di una squadra, anche quello apparentemente più collaterale, debba essere sempre fatto con passione e partecipazione, mai in maniera asettica. Bisogna secondo me avere la convinzione di trovarsi tutti in una barca; se fa acqua da qualche parte, deve tirarla fuori il primo che si trova vicino, indipendentemente se quello sia il suo compito preciso o no…”.

a cura di

Nunzio Spina

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