Mondiali: Montevideo ’67
Il racconto di… Giuseppe Rundo

Un siciliano trapiantato in Puglia… L’infortunio che lo tira fuori dal basket a 25 anni… Spazio ai giovani in Uruguay… La personalità di Paratore… Contro il Paraguay…

Giuseppe Rundo è nato a Gioiosa Marea, in provincia di Messina, il 4 dicembre 1946. All’età di un anno e mezzo, seguendo il padre, arruolato nella Marina, si trasferì con la famiglia a Taranto, mantenendo comunque uno stretto legame con la Sicilia (dove è tornato tutti gli anni), terra di origine di entrambi i genitori. A Taranto è cresciuto anche cestisticamente, disputando campionati minori con l’Amatori Ricciardi. Qui fu il tecnico Elio Pentassuglia ad adocchiarlo, dalla vicina Brindisi, dove inutilmente cercò di attirarlo; grazie a lui, però, “Pippo” (come da tutti chiamato), venne convocato dal prof. Paratore per un raduno nazionale giovanile a Bassano del Grappa. Da allora si aprirono le porte della maglia azzurra: Nazionale universitaria, prima, poi “militare” e “B”, fino al debutto con la Nazionale maggiore in un torneo amichevole in Germania nel ’66. L’anno dopo la partecipazione al Mondiale in Uruguay. Giocatore intelligente e al servizio della squadra, nel ruolo di ala si faceva apprezzare per il tiro dalla media distanza. Fu la Virtus Bologna a impedire che il suo talento rimanesse sprecato in provincia: con le “V nere” disputò cinque campionati, dal ’66 al ’71, fino a quando la sua carriera non venne bruscamente interrotta da una gomitata rimediata in una partita di campionato, a Cantù, che gli procurò il distacco della retina. Tre interventi, mesi e mesi di ospedale, carriera chiusa a soli 25 anni.

Giuseppe Rundo in entrata, nella partita di qualificazione a Mercedes contro il Messico (da archivio personale Rundo).

«Con la maglia azzurra avevo già familiarizzato da più di un anno – tra Nazionale universitaria, Nazionale militare e Nazionale B –, ma quando nella primavera del ’67 il prof. Paratore mi convocò per i Mondiali in Uruguay provai una gioia incredibile; per me fu come indossarla per la prima volta! Quella era un’occasione che difficilmente poteva ripetersi; molti dei veterani avevano rinunciato per vari motivi, e così il Professore non ci pensò due volte a dare spazio ai giovani: con me c’erano almeno altri cinque debuttanti nella Nazionale A… Eravamo tutti eccitatissimi, ogni cosa ci sembrava tanto più grande di noi; abbiamo condiviso quell’esperienza con l’entusiasmo dei ragazzini, facendoci coraggio l’un l’altro…».

«Personalmente, non avevo mai attraversato l’oceano… Quando arrivammo a Montevideo trovammo molti immigrati italiani ad attenderci, ci accolsero festosamente, sventolando le bandiere tricolore, qualcuno piangeva anche di commozione; rimasi molto colpito! Non vi dico poi la prima partita a Mercedes, che capitava contro gli Stati Uniti: già entrare in campo fu una emozione fortissima, ancor più riuscire a realizzare qualche punto (6, n.d.r.)… Il primo canestro me lo ricordo ancora: fu in contropiede!».

Un’altra immagine dello scontro Italia-Messico (il primo dei due nel Mondiale in Uruguay): Rundo conquista un rimbalzo; si intravedono i compagni Bovone, a sinistra, e Pellanera (5) a destra (da archivio personale Rundo).

«Seppure fosse una Nazionale alquanto improvvisata, giocammo molto bene sia contro gli USA che contro la Jugoslavia: qui c’era un certo Raznatovic, che segnò tanto contro di noi, e poi Korac, Gjergja… Anche Cosic, che però quella volta restò in panchina… Uscimmo battuti, ma soddisfatti della nostra prestazione… Le sconfitte che ci hanno pesato di più sono state quelle col Messico, sia nel girone di qualificazione che nello spareggio finale per l’ottavo posto: in entrambe le occasioni a punirci è stato quel giocatore straordinario che era Manuel Raga: aveva una elevazione e una sospensione davvero incredibili…»

«Dopo le prime tre partite lasciammo Mercedes per dirigerci addirittura in Argentina, a Cordoba, anche lì accolti calorosamente dalla comunità italiana… Per fortuna ci toccarono avversari molto più abbordabili, a partire dal Paraguay, contro cui realizzammo il massimo attivo, e anch’io ebbi l’opportunità di mettere a segno qualche canestro in più (in doppia cifra, 11 punti, n.d.r.)… Per la verità, da quel momento Paratore mi lasciò in panchina per le restanti partite, assieme a qualcun altro giovane; ma io accettai in silenzio, per me era già stato un sogno aver partecipato a un Mondiale… E praticamente si chiuse lì anche la mia avventura con la Nazionale… Comunque, sono rimasto sempre molto grato al Professore, che mi aveva portato nel giro azzurro quando ancora calcavo i campi della serie C con la maglia della Ricciardi Taranto… Paratore era un tecnico preparato, e soprattutto un uomo di grande personalità: parlava non so quante lingue, in qualsiasi parte del mondo si andasse a giocare c’era sempre qualcuno che lo conosceva e che si fermava a dialogare con lui…»

 a cura di

Nunzio Spina

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