Mondiali: Indianapolis ’02
Il racconto di… Hugo Sconochini

Gli argentini abituati alle competizioni d’alto livello… Gli americani che li presero sottogamba… La finale con la Jugoslavia…

Hugo Sconochini è nato a Cañada de Gómez, in Argentina, il 10 aprile 1971. Italiane entrambe le famiglie d’origine: quella del papà, gli Sconocchini (una “c” si perse all’arrivo in Sudamerica), proveniva da Cingoli in provincia di Macerata; quella della mamma da Maropati, in provincia di Reggio Calabria. A soli 19 anni Hugo, che aveva mosso i primi passi nella Cañadense, fece il percorso inverso dei suoi progenitori, e approdò in Italia, dove si è ormai stabilito. Un continuo girovagare in lungo per la Penisola, da Reggio Calabria a Milano, a Roma, a Bologna (qui due scudetti, due Eurolega e due volte la Coppa Italia con la Virtus), e ritorno a Milano e Roma, con l’intermezzo delle parentesi in Grecia (Panathinaikos, una Coppa Intercontinentale) e in Spagna (Baskonia, campionato e Copa del Rey). Guardia di 1 e 92, sfruttava al meglio le sue doti fisiche di potenza e velocità; specialista nel recuperare rimbalzi e palloni in difesa, sfoggiava in attacco un repertorio vario, dal contropiede al tiro da fuori, dall’assist alla schiacciata. Ha vestito la maglia della Nazionale argentina dal ’97 al 2004, diventandone anche capitano. Ha partecipato a due Mondiali (Atene ’98 e Indianapolis 2002, in quest’ultimo vincendo l’argento) e a una Olimpiade (Atene 2004, medaglia d’oro).

Hugo Sconochini in azione al Mondiale 2002 di Indianapolis; con la maglia albiceleste dell’Argentina aveva già disputato il Mondiale ’98 (da archivio personale Sconochini).

«Avevamo affrontato il Mondiale di Indianapolis del 2002 con la convinzione di raggiungere finalmente un risultato importante in una manifestazione intercontinentale. Ci credevamo, la squadra era composta da giocatori di valore, sia dal punto di vista tecnico che umano; e il nostro coach, Magnano, ci aveva guidato con una preparazione molto accurata, trasmettendoci la sua determinazione… Andare sul podio era ovviamente il traguardo più prestigioso che ci eravamo prefissati; ma essere saliti sul secondo gradino, dopo avere sconfitto in casa loro gli Stati Uniti, ed essere arrivati a un passo dalla medaglia d’oro, beh tutto questo è forse andato al di là della nostra immaginazione…».

«La formazione era costituita per dieci dodicesimi da gente che cestisticamente era cresciuta e che continuava a giocare in Europa, compreso ovviamente il sottoscritto… Per noi non era un problema, anzi, perché militando in campionati impegnativi come quello italiano o spagnolo, o anche nelle Coppe, ci eravamo abituati a competere a certi livelli… Fin dalla prima partita siamo scesi in campo consapevoli delle nostre possibilità, ma senza essere irriverenti nei confronti degli avversari, che in quel Mondiale erano quasi tutti temibili, per le loro reali potenzialità o anche solo per il loro prestigio… Per esempio la Cina era una squadra di giganti, a parte Yao Ming; la Russia aveva vinto la medaglia d’argento nelle ultime due edizioni; la Germania aveva un certo Nowitski che da solo poteva fare la differenza. Li abbiamo superati tutti nettamente, perché affrontavamo le partite con la giusta umiltà e concentrazione…».

Sconochini, ultimo a destra, esulta con i compagni per l’accesso alla finale di Indianapolis. Due anni dopo sarà festeggiato l’oro olimpico di Atene (dal sito “lagiornatatipo.it”).

«Poi è arrivato l’incontro con gli Stati Uniti, imbattuti come noi, solo che loro giocavano in casa e sulla carta apparivano insuperabili… È stato coach Magnano a infonderci fiducia e serenità; poi già nelle prime battute ci siamo resi conto che anche quegli avversari erano fatti di carne e ossa come noi, e li abbiamo sfidati… Loro erano tutti NBA, e sicuramente ci hanno preso un po’ sotto gamba; quando hanno capito che potevano veramente perdere, hanno reagito, ma ormai era troppo tardi… Che duro colpo per loro! Ricordo che quando siamo tornati in albergo (era una sorta di grande cilindro con 25 piani o più, e ogni Nazionale occupava un piano), tante squadre ci hanno accolto applaudendoci dalle finestre; era l’impresa che tutti avrebbero voluto compiere…».

«Dopo avere sconfitto anche il Brasile e nuovamente la Germania in semifinale, siamo arrivati a giocarci l’oro con la Jugoslavia… Da quella parte c’erano grandi fuoriclasse, come Bodiroga, Divac e Stojakovic, e noi invece dovevamo fare a meno di Manu Ginobili, che era stato il nostro miglior realizzatore fino allora, infortunatosi nella partita con la Germania… Decisamente sfavoriti, dunque; eppure potevamo vincere anche quella… Se penso agli ultimi sette secondi di gioco! Eravamo pari, io avevo il possesso di palla, ho subìto due falli in corsa, poi uno nel tiro allo scadere; e quando Nocioni stava per correggere a canestro, è stato trascinato giù; gli arbitri non fischiarono nulla, si andò al supplementare e lì, unico momento di quel torneo, la nostra squadra ha ceduto psicologicamente… Comunque, che avevamo disputato un gran Mondiale, e che quell’Argentina fosse una grande squadra, si ebbe la conferma due anni dopo, quando vincemmo l’oro alle Olimpiadi di Atene, battendo ancora una volta gli stati Uniti…»

a cura di

Nunzio Spina

 

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