Morifere Kante e l’integrazione a lieto fine

More than a game.

Morifere Kante

Quando la pallacanestro diventa integrazione, unione, strumento di aggregazione, è molto molto di più di un dannatissimo gioco. Quando il basket abbatte le divisioni sociali ed etniche, è un insulto accostarlo ad una sciocca attività ricreativa. Quando dei ragazzini, che hanno vissuto sulla propria pelle le atrocità della guerra e della povertà, riescono a dare una svolta alla loro esistenza, grazie a quella palla rotonda simile ad un’arancia, che probabilmente non avevano mai visto prima in vita loro, dovremmo soltanto stare zitti ed apprezzare.

Negli Stati Uniti, la terra dei sogni, è successo a fenomeni del calibro di Giannis Antetokounmpo, Joel Embiid, Pascal Siakam, tutta gente che durante l’adolescenza non aveva idea di come fosse fatto il denaro, né, tantomeno, di cosa fosse un canestro, se non un cesto che serviva a contenere qualcosa. Per questi campioni, gli americani dicono solo: “We are all witness”, siamo tutti tesimoni. È un po’ quello che è accaduto, con le dovute proporzioni e in misura chiaramente minore, a Morifere Kante, lungo dall’interminabile apertura alare, da due anni al Basket Giarre. Con un’unica sottile, ma (purtroppo) non irrilevante, differenza: il ragazzo ha avuto la (s)fortuna di approdare in Italia.

Federico Vallesi e Morifere Kante

Arrivò a Giarre due stagioni orsono, non aveva mai calcato un parquet con due canestri, ha iniziato al PalaJungo, ha provato, si è divertito, da lì ha cominciato ad allenarsi. Quando si viene a creare una situazione del genere, è chiaro che c’è un interesse reciproco, di ambo le parti, nel voler instaurare un rapporto sportivo. Nel caso, la società giarrese si è trovata tra le mani un ragazzo promettente, dalle, evidenti, notevoli doti fisiche e atletiche, allo stesso modo, il giocatore ha avuto la possibilità di ambientarsi e di scoprire un ambiente a lui amico. Ovviamente, per fare sì che un sodalizio del genere prosegua fruttuosamente è necessario che ambedue le parti in causa siano estremamente disponibili e corrette, in questa circostanza lo sono state.

Se avete visto una gara del Bk Giarre l’anno scorso, che sia stata una partita delle giovanili o di Promozione, avrete notato quel ragazzotto che forse non riusciva a mettere per terra due palleggi in fila, però sotto quel canestro faceva la sua figura. Vi racconto la mia primissima esperienza di visione di Kante: era un match di Under 18, lo vidi e pensai tra me e me “ma questo qui così scoordinato come fa a tenere il campo?“, poi, nel riscaldamento, prese la palla in mano, come una nocciolina, e la schiacciò dentro il cesto, mi sono ricreduto all’istante. I miglioramenti fatti da Morifere non sono io a doverli evidenziare, nel suo solo primo anno di gioco è diventato un altro giocatore, anzi, è diventato proprio un giocatore di pallacanestro, tanto da invogliare la dirigenza giarrese e coach D’Urso a portarlo nel roster della Serie C, per la stagione in corso. Fino ad ora, sta giocando un campionato più che rispettabile, facendosi valere come lungo back-up in uscita dalla panchina.

A metà febbraio sembrava fosse pronto a fare le valigie. Questa bella storia ha così subito un rallentamento: Kante è stato costretto ad abbandonare il centro d’accoglienza, nel quale stava dal suo arrivo alle pendici dell’Etna, e aveva deciso di trasferirsi a Milano, per cercare un lavoro stabile, così da non essere obbligato a tornare nel suo paese d’origine. Invece no, il ragazzone di Daloa, in Costa d’Avorio, trova un contratto di lavoro e un appartamento in affitto: può rimanere a Giarre, per costruire una sua vita qui, insieme ai compagni, allo staff e alla dirigenza giarrese che lo hanno trattato come uno di famiglia. E magari avrà un futuro anche nel basket, per continuare a crescere e migliorare.

Gaetano Gorgone

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