Paolo Amantia, da Barriera a Milano nel segno del basket

Paolo Amantia è partito da Catania ad appena 25 anni e da allora vive e lavora al Nord Italia. «Oggi ne ho 37, sono sposato da 10 anni, ho due figli piccoli e mi diletto nel poco tempo libero nei playground milanesi… Il lavoro mi impegna molto ma la passione per il basket è rimasta sempre e la voglia di vincere non passa mai! Sono un manager di un’importante azienda italiana multinazionale che opera nel settore dell’energia e devo riconoscere che l’esperienza accumulata nei campi da basket la metto in pratica ancora oggi nel mio lavoro.» Ma chi è Paolo Amantia? Se dovessimo inquadrarlo in poche parole, non potremmo che partire dal suo record: «Nei sei anni del Gravina sono stato spesso il migliore realizzatore e ancora oggi sono il giocatore con la media punti segnati a partita più alta: 16 circa. In una società che ha compiuto da poco vent’anni non è poco!»

16 PUNTI! Paolo Amantia, 37 anni, detiene il record della media punti a partita pi alta del Gravina [P.Amantia].

 

Con quali squadre hai giocato a Catania?

«Ho giocato nel Gad Etna in Serie C nelle stagioni 1987-88, ‘88-89 e in Serie D nella stagione ‘91-92. Nello Sport Club Gravina, invece, ho disputato due stagioni in Serie D (attuale C2) nel ‘89-90 e nel ‘90-91, una stagione in Promozione nel ‘92-93, una stagione in Serie D nel ‘93-94 e due stagioni in Serie C2 nel ‘94-95 e ‘95-96.»

 

Come e quando hai iniziato a giocare?

«Ho iniziato per sbaglio, anche perché a scuola insegnavano pallavolo e il basket non esisteva o era solo un ripiego. Avevo 12 anni e praticavo il minibasket in una piccola palestra vicino casa, dove si faceva di solito jujitsu. Il miei primi allenatori furono Davide Aretino e Giuseppe Nicolosi e successivamente anche Daniele Balbo e Carlo Vaccino. Disputai poi alcune stagioni nell’Audax San Marco (la squadra di basket dell’oratorio di Barriera) tra i 13 e i 15 anni e lì incontrai Marco Distefano. Con lui, all’età di 16 anni, approdai al Gad Etna dove ero arrivato per giocare nelle giovanili (cadetti e juniores), ma mi ritrovai presto in prima squadra (era il 1987). Fu una vera sorpresa.»

 

Come fu la tua esperienza con la prima squadra del Gad?

«Nei primi due anni, quando avevo 16-17 anni, non trovai tanto spazio in Serie C, ma migliorai molto grazie agli allenamenti e alle partire disputate. Io e gli altri giovani esordimmo a causa degli infortuni dei titolari. Nel 1988-89 facevo parte della migliore squadra dal punto di vista tecnico in cui io sia mai stato. Eravamo molto vicini alla B2, ma nel finale di campionato mancò il gruppo: ad un certo punto i migliori mollarono, entrarono in disaccordo con l’allenatore e quando si perdono le motivazioni e il gioco di squadra non si va da nessuna parte. In squadra avevamo anche Nino Ripepi e Russo, provenienti dalle giovanili della Viola, e c’era tanta gente in gamba, come Vaccino, Martino, Taormina, Carbone, Leonardi e Corbi. Alcuni lavoravano, altri si sostentavano con il basket; comunque penso che quasi tutti fossero pagati, mentre qualcuno di noi giovani prendeva dei rimborsi spese e qualche premio partita, ma non c’era una politica per incentivarci. Certo, quando si gioca per divertirsi è una cosa, ma quando entrano i soldi cambia tutto.»

 

Come iniziò la tua esperienza con il Gravina?

«Avevo da poco compiuto 18 anni quando venni ceduto in prestito allo Sport Club Gravina insieme a Salvo Duscio. Giocai da titolare in Serie D, totalizzando circa 450 punti nel mio primo anno da protagonista. Nel girone di andata segnai tantissimo e nelle prime 10-12 partite avevo una media punti superiore ai 20 a partita… È stato sicuramente un anno indimenticabile, giocare da protagonista in quella che oggi sarebbe la serie C2 è un ricordo che porterò sempre con me. Il Gravina annoverava tra le sue fila alcuni giocatori di esperienza che nel Gad avevano lasciato un segno come Giuseppe Nicolosi, Gaetano Manzella ed Enzo Privitera. Ricordo che dopo questo ottimo campionato, i dirigenti del Gad Etna mi contattarono perché mi volevano riportare presto con loro!»

 

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CHE GIOVANI! Gigi Angirello, Salvo Duscio e Paolo Amantia: tre giovani di belle speranze passati dal Gad al Gravina [P.Amantia].

E quindi sei ritornato lì?

«Sì. Rientrai subito per disputare un torneo di fine stagione, dal 23 al 25 maggio del 1990, nel quale noi del Gad giocammo contro Comiso e Patti (squadre di B2) e con gli Juniores Nazionali della Viola Reggio Calabria, dove giocava un certo Hugo Sconochini, giocatore di gran classe che nel 2004 ha vinto l’oro alle Olimpiadi, che poi sarebbe diventato compagno di squadra di Ginóbili, stella della NBA. Ricordo bene quella partita: feci 10 punti, alcuni “in faccia” allo stesso Hugo che non riuscì mai a stopparmi: che soddisfazione! Ma tutti noi ricorderemo sempre anche le tre schiacciate a difesa schierata che il magico Hugo ci fece lasciando tutti basiti. Era un atleta troppo forte per giocare con noi di serie C. Poi mi hanno ridato insieme a Duscio al Gravina e contemporaneamente hanno ceduto all’Acireale gli altri migliori giovani, come Marchesano, Alberti e Distefano. Nel 1990-91 al Gad rimase solo la vecchia guardia. L’allenatore non era il massimo e i giocatori di conseguenza non rendevano, mentre paradossalmente tutti noi giovani facemmo un buon campionato fuori. Così il Gad retrocesse. A quel punto ci richiamarono tutti alla base. La società aveva una nuova dirigenza che promise di riportare Catania in due o tre anni in Serie B. Partimmo dalla Serie D con una rosa formata da 15 giocatori potenzialmente da quintetto, quindi tutti facevamo fatica a giocare con continuità. Ovviamente, abbiamo vinto quasi tutte le partite ed è stato un anno trionfale, fin troppo semplice. L’anno successivo, comunque, si scoprì che erano degli imbroglioni, perché speravano di guadagnarci ma non ci riuscivano e quando non hanno avuto più determinati investimenti hanno smesso di pagare i giocatori. Questi ultimi, però, hanno risposto bene e sono arrivati comunque secondi. I dirigenti non erano dei manager e non sapevano gestire la società e credo che ebbero anche dei problemi con la giustizia. Finirono per cancellare una squadra che c’era da una vita. C’è da dire, comunque, che nessuno si interessò al salvataggio della società.»

 

Cos’è successo dopo il fallimento?

«Con la scomparsa del Gad, aumentarono il numero delle squadre della provincia. Già nel 1992 ero tornato al Gravina, che era diventata una delle squadre più rappresentative insieme ad Acireale e Giarre. Rimasi fino al 1996 in un grande gruppo dal punto di vista umano, anche perché in molti avevamo condiviso momenti importanti nel Gad Etna (sia nelle giovanili, che in prima squadra in Serie C) e nel Gravina avevamo trovato uno spazio importante. Tra i miei compagni ricordo Salvo Duscio, Luigi Angirello, Marco Lo Faro, Alfio Di Mauro, Ciccio Alberti, Carmelo Minnella, Marco Bruno, Davide Cavazza (l’eterno ancora in attività …)»

 

Quali erano (e sono!) le tue qualità da giocatore?

«Nei miei primi anni nel basket giocavo da playmaker, ma poi mi spostai nel ruolo di guardia che più si addiceva alle mie doti di realizzatore. Sono sempre stato un buon attaccante, un “cecchino” con un tiro da fuori “mortifero” (anche da 3). Non sono tuttavia un grande difensore. In carriera, poi, non ho mai subito seri infortuni e questo mi ha aiutato molto nella mia crescita, soprattutto nel periodo del Gad Etna.»

 

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A GRAVINA. Paolo Amantia nel 1994-1995, con la maglia del Gravina [P.Amantia].

Quali erano le differenze a livello umano e concreto tra Sport Club e Gad Etna?

«Il Gad Etna era la prima squadra di basket catanese e quindi aveva un’organizzazione che cercava di ispirarsi o avvicinarsi ai professionisti. C’era un regolamento, ognuno aveva il suo compito ben preciso, dai giocatori agli allenatori ai dirigenti. Gli atleti più importanti non giocavano tanto per passione ma sempre più per i soldi … e quando circola il denaro i rapporti umani sono tendenzialmente “più freddi” come accade nel mondo del lavoro. Il Gravina è nato dalle ceneri dello Sport Club Catania per volontà di Natale De Fino e alla base ha posto valori ben diversi dal denaro, come la passione per il basket, l’amicizia e l’attaccamento alla società. C’è stato sempre un ambiente molto più unito, sia nei rapporti tra i giocatori che con la società. E i risultati sono arrivati, con la punta massima della Serie C1. Gli allenatori e il presidente hanno fatto sempre sentire tutti a casa. Inizialmente era una squadra formata da amici dello Sport Club Catania, ma dopo la vittoria in Promozione hanno avuto bisogno di aiuto e così è iniziato tutto: un nucleo di giocatori che ha vissuto le giovanili insieme unito a qualcuno più esperto. Non esisteva ancora il settore giovanile, ma eravamo noi i giovani su cui puntare. In quel periodo ha iniziato il minibasket e sono arrivati degli allenatori preparati. Oggi i ragazzi pagano e così il Gravina si autofinanzia; puntando sulle giovanili si continuerà sempre a contare su gente valida cresciuta in società. A posteriori, vedo che si riuscì a tirar su un bel po’ di persone, soprattutto grazie ad un ambiente collaborativo, dove si lavorava seriamente pur ammettendo le battute e gli scherzi che cementavano l’amicizia tra tutti i componenti del gruppo. Nel Gad Etna non solo non esisteva questa mentalità, ma si smise anche di puntare sul settore giovanile. In tanti partimmo da quella squadra e molti di noi erano molto validi, almeno parlando di quelli nati tra il 1970 e 1974, ma dopo di noi ci fu il vuoto. La causa fu una scellerata gestione che comprava solo giocatori da fuori, molti dei quali erano autentiche meteore, e non valorizzava i talenti locali; ecco che il Gad Etna fallì miseramente per colpa di una classe dirigente disonesta e incompetente. Il Gravina, invece, era a conduzione familiare e tutti si sono sempre trovati bene per una sorta di accordo di base fondato sull’unità della squadra. Così è molto più semplice andare avanti. La buona reputazione del Gravina è merito di chi ha contribuito a darne un’immagine positiva. Oggi però questa squadra non si può permettere di superare certi livelli, perché si entrerebbe nel semiprofessionismo e diventerebbe troppo impegnativo dal punto di vista economico. La Serie C2 è un tetto che attualmente è difficile da superare.»

 

Era facile per un giovane di valore inserirsi o era proprio necessaria la tua cessione in prestito al Gravina per farti notare?

«I giovani hanno avuto sicuramente delle opportunità nel Gad Etna, ma quando in squadra c’era gente in gamba come i fratelli Vaccino, Taormina, Leonardi, Carbone, Martino, Corbi era durissima per chiunque giocare al posto loro. Così ancora fino a 18 anni sei disposto a giocare meno e ad imparare dai più bravi, ma poi vuoi metterti alla prova e se non si trova il giusto spazio è meglio andare da un’altra parte, come accadde a me a 18 anni. Solo così i dirigenti si accorsero chi avevano dato in prestito e mi richiamarono.»

 

Perché hai lasciato Catania?

«Nel 1996, finita l’università, mi sono trasferito a San Donato Milanese dove tutt’ora lavoro. Proprio per questo ho trovato sempre meno tempo per giocare. Quando si studia c’è sempre più spazio per lo sport. In più, l’ambiente è differente, sono due mondi diversi perché il lavoro è vissuto con ritmi più frenetici, c’è più stress. Infine, per chi è nato in Sicilia il clima non è il massimo, ma ci si abitua. All’inizio sentivo la mancanza dell’estate e per disperazione sono andato in cerca del mare in Liguria ed Emilia, che non sono certo come la Sicilia. Ma alla fine ci si adatta, si trova facilmente un lavoro buono, anche se le aziende fanno fatica ad assumere, ci sono molte opportunità. Inizialmente, sono rimasto nell’ambiente sportivo: dal 1997 al 2000 ho giocato in Promozione a Milano (che facendo le dovute proporzioni è una scarsa C2 di Catania) nella Società Sportiva Snam. Quest’anno ho ripreso ad allenarmi con una squadra che milita in prima divisione giusto per tenermi in allenamento, ma come detto il mio lavoro è sempre più impegnativo e non è spesso compatibile con il basket agonistico.»

 

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TROFEO DELL’ETNA. Il depliant del Trofeo dell’Etna, con i roster delle avversarie del Gad [P.Amantia].

Qual è la differenza tra il basket di Milano e quello di Catania? Perché c’è questo dislivello di valori?

«Ho smesso di giocare a Catania nel 1996 e ho disputato tre campionati nella Promozione milanese tra il 1997 e il 2000 e le mie valutazioni sono quindi riferite a quegli anni. Alla base c’è una differenza notevole dal punto di vista fisico e quindi di gioco. Dal punto di vista gestionale anche in Promozione ci sono società ben organizzate, quindi a maggior ragione nella C2 milanese, dove c’è molta più capacità manageriale e imprenditoriale di quanto ci sia a Catania e in Sicilia in generale. Nella Promozione a Catania si giocava in campi incredibili, in certi casi anche all’aperto, mentre a Milano i due gironi di Promozione hanno impianti che in Sicilia potrebbero essere tranquillamente di C2 o C1. Tutti i campi sono riscaldati, si tratta sempre di palestre ben mantenute in parquet o linoleum. Le squadre della Promozione milanese sono fatte o di giovanissimi che si fanno le ossa o di vecchie glorie che hanno giocato tra la Serie B e la C e in certi casi anche qualche vecchio da Serie A. Le due cose che colpiscono maggiormente sono la diversa organizzazione e la prestanza fisica dei giocatori superiore a quanto vediamo a Catania, oltre alle infrastrutture che sono sicuramente più adeguate. Poi, in una provincia in cui c’è una squadra in serie A, c’è un movimento diverso anche nelle serie minori. Un valido giovane milanese con la passione per il basket aspira a giocare nell’Armani Jeans, mentre con tutto il rispetto per la mia città un giovane catanese si deve accontentare della C1 o della B2. Anche la passione per lo sport si vive in modo differente. È molto più seria e chi si organizza in modo approssimativo non va mai avanti.»

 

E quando giocavi qual era il livello di organizzazione?
«Faccio un esempio. Il Gad era la squadra più importante e organizzata ed era l’unica catanese a certi livelli. Mi ricordo che un anno la squadra degli allievi, in cui giocavano tra gli altri Marchesano ed Esposito, allenati da Gaetano Russo, vinse le finali regionali. Lo stesso anno anche la squadra cadetti nella quale giocavamo io, Marco Distefano e Luigi Angirello, allenati da Michelangelo Sangiorgio, doveva disputare gli spareggi per le finali regionali di categoria ma, a causa di una “dimenticanza” della dirigenza del tempo quegli spareggi non vennero mai disputati.»

 

Quali erano i compagni di squadra a cui eri più legato?

«Tra gli amici ricordo Luigi Angirello e Salvo Duscio. Sono rimasto comunque in contatto con tanti, ma soprattutto con loro due. È facile rimanere in contatto tramite e-mail e per telefono!»

 

Tra quelli che hai visto giocare, qual è stato il miglior giocatore catanese in assoluto?

«Di quelli rimasti a Catania o in Sicilia direi Carlo Vaccino, ma vorrei ricordare pure Alberto Di Mauro che in giovane età venne venduto alla Viola Reggio Calabria in serie A2. Alberto è stato uno dei pochi catanesi che in un recente passato ha calcato i parquet della serie A, quando c’erano campioni come Oscar Schmidt.»
Quali sono stati i tecnici con cui hai avuto un rapporto migliore?

«Uno degli allenatori con cui mi sono trovato meglio è stato Pippo Strazzeri, che è molto in gamba e mi ha dato tanto. Ho iniziato con Gaetano Russo, ma poi subito passai con Strazzeri.Ricordo anche Enrico Maugeri nel primo anno dello Sport Club Gravina.»

 

Una partita che ricordi con più emozione?

«I due derby Acireale-Gravina nel mio primo anno. In casa, abbiamo perso ai supplementari. In trasferta, abbiamo vinto noi e ho segnato 30 punti. »

 

Cosa ne pensi della Pallacanestro Catania?

«In un progetto del genere, quando ci si mette qualcuno che ha fatto il basket è più probabile che abbia successo. Da catanese mi auguro che Marco Distefano, Costantino Condorelli e Simone Motta riescano a porre le basi per una rinascita seria del basket catanese. La B2 è un buonissimo punto di partenza, ma servono competenze manageriali, solide basi societarie, capitali, tecnici e giocatori preparati e soprattutto un’organizzazione che deve essere perfetta e non tralasciare i dettagli. In ogni caso sono contento per quello che sono riusciti a raggiunge e faccio loro un grande in bocca al lupo. Sono contento anche per i risultati di Luigi Angirello e Carmelo Minnella del Gravina, che hanno giocato con me per tanti anni, con i quali abbiamo condiviso tanti momenti importanti sul campo e fuori. Farò sempre il tifo per tutti loro.»

 

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STAGIONE TRIONFALE. La festa del Gad Etna promosso in Serie C nel ’92: l’inizio della fine [P.Amantia].

Quali sono secondo te i problemi attuali della pallacanestro a Catania?

«Adesso sta nascendo il movimento di vertice, ma mancano i soldi, i dirigenti e gli allenatori. I giocatori nascono sempre e Angirello, ad esempio, ha tirato su molta gente che è andata anche fuori. Il problema di fondo è che se non ci sono allenatori veramente competenti non si può migliorare. Un’altra mancanza di Catania sono i playground… Una volta, il venerdì e il sabato andavamo al campetto all’aperto del Palacus. Prima era tutto all’aperto, non esisteva il palazzetto ma un campo da pallamano e uno da tennis. Con la scusa delle Universiadi hanno realizzato il palazzetto e anche pochi playground. A Milano e dintorni invece, ce n’è tantissimi nei parchi. Certo, della Lombardia colpiscono anche la nebbia e l’inquinamento, ma si può giocare liberamente e avvicinarsi a questo sport è più facile, senza dover pagare per le palestre private…»

Roberto Quartarone

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