Nunzio Spina, autore dell’intervista a Diomede Tortora, interviene sulle recenti polemiche scatenate dalle parole dell’ex giocatore.
Scatenare così vivaci polemiche, con l’articolo da me dedicato a Diomede Tortora, era proprio l’ultimo dei miei pensieri. Anzi, non ci avevo pensato affatto. Provo soltanto dispiacere per quanto successo, ed è solo questo sentimento (null’altro) che mi spinge adesso a fare qualche precisazione, a scanso di possibili, ulteriori equivoci.
L’intervista a Diomede Tortora non mi è stata commissionata da nessuno, men che meno dall’interessato (non è stato esplicitamente avanzato questo sospetto, ma qualcuno può averlo sospettato). L’ho proposta io a Roberto Quartarone, perchè ho ritenuto che, dopo tanti pezzi dedicati ai giocatori delle generazioni passate, bravi e meno bravi (tra questi ultimi mi ci metto anchio), meritasse la vetrina anche un personaggio sportivo così longevo e rappresentativo come lui. Quando l’ho chiamato al telefono abbiamo provato a fare il conto di quanti anni erano trascorsi senza vederci e sentirci: dico questo, solo per ribadire che la mia iniziativa non aveva alcun fine se non quello di un piacevole ricordo.
A quanto pare, due frasi finali di una lunga narrazione sulla carriera del giocatore sono state interpretate come un attacco, più o meno diretto, alla dirigenza di oggi, se non addirittura a un ben preciso dirigente. Io non posso entrare nel merito della questione, che evidentemente covava sotto la cenere; posso solo dire (ci crediate o no) che Diomede non mi ha parlato male di nessuno, anzi per Costantino Condorelli ha avuto parole di simpatia e di stima, se non altro per averlo – in qualche modo – visto crescere. Dovevo scriverlo? Se avessi dovuto scrivere tutto quello che mi ha detto, avrei dovuto fare una specie di Odissea a puntate, e francamente non mi sembrava il caso. Qualcosa ho dovuto tagliare, e mi spiace per Costantino, al quale va anche la mia stima per il suo impegno.
Detto questo, perchè non prendiamo le parole per quelle che sono? “Manca quello che è sempre mancato: una dirigenza forte e coraggiosa, o anche solo un imprenditore che riesca a coniugare in sè la passione e il denaro”. Questo ha detto Diomede! Secondo lui manca (oggi) quello che è sempre mancato (sempre, quindi fin dai suoi tempi, fin dai tempi della finta serie A della Grifone). Così lui giustifica il motivo per cui non si è ancora usciti dalla mediocrità. Ancora usciti… Come dire, la mediocrità c’è sempre stata. Non mediocri adesso, buoni o sufficienti prima. Mediocri sempre! La mediocrità di uno sport che in una città di quasi mezzo milione di abitanti potrebbe, forse, emergere di più; potrebbe magari raggiungere quei risultati che – fino a prova contraria – hanno almeno una volta raggiunto altri sport di squadra, come la pallavolo, il rugby e la pallanuoto, per non parlare del calcio.
Diomede ha espresso un suo giudizio, senza (credo) offendere nessuno; senza dire che la generazione di una volta era migliore di quella di adesso. Ha individuato nella dirigenza (in generale!) la componente deficitaria; qualcun altro avrebbe potuto dire che il problema sta negli allenatori, o nei giocatori; oppure che i limiti li hanno avuti un po’ tutti. Catania non ha mai avuto la fortuna – anche queste altre parole di Diomede sono rimaste nei miei interminabili appunti – di avere un Benetton o uno Scavolini. E questo a proposito di dirigenti forti, coraggiosi, passionali e, soprattutto, pieni di denaro!
Alle frasi di Diomede ognuno può dare l’interpretazione che vuole, soprattutto se vengono decodificate basandosi su dispute e su fatti già avvenuti, a giudicare dalla quantità di lava che è stata sputata fuori da sotto quella cenere. Tutte queste polemiche però, come redattore dell’articolo, non mi appartengono. Che poi lui abbia voluto strumentalizzare la mia intervista per lanciare critiche gratuite oppure per una precisa strategia politica, lascio giudicare ai lettori; a me non lo ha dichiarato, e io, sinceramente, non l’ho percepito. Di imminenti elezioni regionali FIP, tra l’altro, ho saputo solo leggendo i commenti successivi.
Ho avuto, piuttosto, la sensazione che qualcuno abbia giudicato un po’ troppo – diciamo così – trionfalistico il mio pezzo, a partire dal titolo che contiene due parole piene di enfasi: mito e leggenda. Sono d’accordo: ho esagerato! Avevo dato fin dall’inizio un taglio particolare, giocando su quel nome da guerriero greco (Diomede) e sulla sua longevità di carriera (un primato che mi sembra indiscutibile): le parole mito e leggenda – se vogliamo anche con un pizzico di ironia – potevano adattarsi al personaggio, anche perchè la pubblicazione interessava l’ambito famigliare del sito web Basket Catanese. L’ironia ho finito col subirla io in qualche commento, e non mi resta che accettarla.
Però non ho parlato di mitici e leggendari atleti di una generazione degli anni sessanta-ottanta, nè tanto meno di una generazione di sportivi che Diomede rappresenta come mito e leggenda. Non so se ci sia stata una generazione migliore dell’altra, e francamente non mi interessa saperlo. Soprattutto non ci deve essere, per quanto mi riguarda, uno scontro di generazioni: a cosa servirebbe?
Io credo che ogni generazione ha dato quello che ha potuto dare al basket catanese; o che comunque è stata in grado di dare (poco o tanto, ognuno può pensarla come vuole). Non voglio parlare di quelle passate; voglio parlare di quella recente o attuale. Voglio dire che Michelangelo Sangiorgio e Costantino Condorelli, Massimo Calafiore e Gaetano Russo, Massimiliano Puleo e Marco Distefano, Simone Motta e Franco Mauceri, Dario Distefano e Daniele Balbo (ripeto nomi che ho letto, ma credo che se ne dovrebbero menzionare tanti altri, che hanno magari qualche anno in più e sono ancora in prima linea), tutti quanti sono meritevoli, secondo me, di rispetto e di considerazione. Alcuni ho avuto il piacere di conoscerli, altri no, ma non cambia il mio giudizio: perchè per il solo fatto di essersi impegnati o di continuare a impegnarsi in un campo così difficile come quello del basket catanese, spendendo energie e risorse, solo per questo hanno tutta la mia ammirazione, al pari di quella che ho manifestato finora, nei miei articoli, parlando dei miei ex compagni di squadra, Pippo Famoso, Angelo Destasio, Gianni Messina e Diomede Tortora.
Ecco come la penso. Se finora ho parlato solo del passato è perchè a quello appartengo. Ma attraverso le pagine dei giornali (e da un po’ di tempo anche di quelle del sito web) ho sempre seguito, da lontano, le vicende del basket catanese con viva partecipazione e con entusiasmo. Lo stesso entusiasmo col quale, grazie alla ospitalità offertami da Roberto Quartarone, ho ripreso a scrivere di basket.
Nel chiudere questo mio intervento voglio fare mie le parole che proprio Diomede Tortora mi ha confidato nella discussa intervista: sono sempre convinto che le cose possono cambiare in meglio; prima o poi questo avverrà, deve avvenire!. Ho molta fiducia nella nuova generazione: di dirigenti, di tecnici, di giocatori. I risultati arriveranno! Nelle stesse reazioni piccate di chi si è sentito criticato o addirittura offeso attraverso la mia intervista a Tortora, io vedo in fondo tanta passione e tanta determinazione nel far cose buone e giuste. Se poi qualcuno ritiene di poter far meglio, si faccia pure avanti, seguendo la strada della lealtà,della concretezza e della umiltà. Chi resta fuori lasci lavorare in pace chi sta dentro. Gli uni non si curino degli altri. E viceversa.
Mi rifiuto comunque di credere che ci sia qualcuno delle vecchie generazioni che possa volere il male del basket catanese di oggi e del futuro, o che possa addirittura remare contro. Comunque parlo per me: continuerò a sfogliare La Sicilia o a navigare sul sito di Roberto Quartarone e dei suoi bravi collaboratori con la speranza di leggere cose belle intorno al basket catanese. E quando arriveranno i successi (perchè arriveranno!), spero mi permettiate – cari ragazzi delle nuove generazioni – di esultare e gioire insieme a voi!
Nunzio Spina
Vedi anche:
Sangiorgio sulla questione-Tortora
Diomede Tortora, il basket tra mito e leggenda