Capobianco: «La serietà è la chiave»

Intervista all’assistant coach della Nazionale… La pallacanestro integrata, la Serie A, l’All-Star Game… «I clinic sono momenti di crescita»… «Il futuro a Catania può essere piacevole»…

Andrea Capobianco osserva l'allenamento del Gad Etna (Basket Catanese)

Già è passato un mese dal passaggio di Andrea Capobianco in Sicilia. L’assistente allenatore della Nazionale italiana è venuto a Catania ospitato dal Gad Etna e dal Cus per assistere a una serie di allenamenti delle squadre senior e giovanili e per tenere un clinic. Per due ore, un folto gruppo di allenatori ha potuto ascoltare le sue parole su “La costruzione dell’attacco nella pallacanestro giovanile”: la sua esperienza e il suo entusiasmo sono stati apprezzati, così come le molte dimostrazioni pratiche e i consigli. Mentre assisteva all’allenamento della prima squadra del Gad Etna, lo abbiamo incontrato nella tribuna del PalaGalermo.

«Mi mancano l’adrenalina della domenica e il lavoro quotidiano con i giocatori in palestra – ci spiega Capobianco, in questa stagione esonerato da Teramo dopo sei giornate – ma questo periodo mi serve per studiare con tranquillità e serenità, soprattutto la pallacanestro giocata e il minibasket, e per approfondire anche l’inglese. Intanto, sono assistant coach part-time della Nazionale e sono onorato di poter vivere un’esperienza con la maglia azzurra. Era il mio sogno, vengo dai campi all’aperto e poter indossare questa maglia anche durante i clinic dà i brividi».

Com’è l’esperienza dei clinic?
«Giro molto per l’Italia e vedo tanta voglia negli allenatori. Ritengo che l’allenatore debba sempre essere “in formazione” e ogni clinic è un momento importante, di crescita, per me che l’ho preparato e spero per chi l’ha ascoltato, inoltre dopo il clinic quando si crea un bel clima. È successo sia a Ragusa, dove ho tenuto una lezione anche di minibasket con Ninni Gebbia, sia a Catania: il confronto è continuato anche a cena».

Il modello che lei porta avanti è quello della pallacanestro integrata. Ce lo può spiegare?
«Il giocatore viene visto nella sua totalità: fisica, tecnica e mentale. Il modello integra queste tre parti e in pratica non è una somma ma un’integrazione: considera l’atleta-cestista da questi tre punti di vista e maggiore è l’integrazione tra queste tre parti, maggiori possibilità si hanno di avere un giocatore completo. Un qualsiasi gesto si può vedere sotto varie luci: un tiro ha una sua meccanica (la tecnica), ma anche la scelta di quale fare, il terzo tempo o l’arresto e tiro; nel tiro c’è un equilibrio fisico, ci sono le capacità coordinative da considerare; c’è differenza tra un tiro fatto all’ultimo secondo e un tiro quando si può ancora giocare. Più riusciamo a lavorare sui tre aspetti, che si influenzano a vicenda, più possiamo correggere l’errore e superarlo. Ad esempio, se si ha uno stress forte, si può avere “paura” di sbagliare e ciò può condizionare il gesto tecnico. Infine, anche nello studio della partita, nello scouting e degli avversari è utile, perché l’analisi dei giocatori e del gioco della squadra include questi aspetti».

Questo modello ha preso piede in Italia?
«Il concetto fondamentale è la consapevolezza di un modello, perché molti sono consapevoli di applicarne uno, altri lo applicano in maniera inconscia. Viviamo sempre in base a un modello, ma bisogna conoscerlo per aver la possibilità di discuterlo, approvarlo, metterlo in discussione o confutarlo. Anche chi decide di giocare in modo caotico gioca secondo un modello, conoscendo i vari modelli poi sta all’allenatore scegliere quale sia quello da seguire».

Com’è nata l’idea di farla tornare a Catania?
«Intanto ringrazio il Gad Etna e il Cus che mi hanno ospitato. Sono stato invitato da Giuseppe Marchesano, che ha dato grande prova di maturità e umiltà perché mi ha chiesto di vedere gli allenamenti delle sue squadre. Ne discuteremo e credo che il confronto sia fondamentale per migliorarsi, bisogna sempre fare dei passi avanti. Io lo faccio sempre: chiamo altri allenatori che stimo per far veder loro gli allenamenti e le partite, per poterne poi parlare e vedere in cosa si può migliorare».

Capobianco a sinistra, Marchesano a destra: maestro e allievo (Basket Catanese)

E la pallacanestro italiana sta facendo passi avanti?
«Tutto sommato, con le difficoltà della vita attuale, sta provando a migliorarsi giorno dopo giorno. L’abbiamo visto con la Nazionale all’All-Star Game: abbiamo dimostrato che stiamo facendo passi avanti, con giovani come Melli, Cinciarini e Hackett. C’è voglia di migliorarsi e mettersi in discussione. È una forma di umiltà per costruire qualcosa di positivo, la presunzione distrugge la crescita. Poi, a mio avviso, contiamo su degli allenatori che tutto il mondo ci invidia. La scuola italiana è stata ed è di grande valore: da Paratore, Tracuzzi, Gamba, Rubini, Bianchini, Taurisano (e mi scuso con chi non nomino ma non dimentico certamente) per finire ad oggi, Messina, Scariolo Pianigiani. L’Europa e non solo ce li invidia! Ma se andiamo a vedere anche nelle serie “inferiori” ci sono tanti bravi allenatori».

Il livello della Serie A si è abbassato?
«Assolutamente no. Siena dimostra una grande capacità tecnica, fisica e mentale, un’organizzazione a 360° e mentalità vincente. Ho assistito varie volte al loro lavoro giornaliero: si capisce perché raggiungono successi di altissimo livello, considerando la cura che mettono in ogni dettaglio. Ci sono tante altre squadre che giocano un’ottima pallacanestro, ad esempio Cantù e Milano, che vorrebbero mettere la sabbia negli ingranaggi di Siena. Nella seconda fascia ci sono squadre che rendono il gioco funzionale alle proprie capacità, alle caratteristiche dei giocatori, e il loro livello è buonissimo. Guardare una partita di Serie A è uno spettacolo».

Come l’All-Star Game?
«L’All-Star Game ha dimostrato di essere un grande spettacolo, in tutto: dalle gare delle schiacciate e dei tre punti alla partita. Si è cercato il preziosismo, ma i trenta giocatori sono andati lì per cercare di vincere una partita. Lo spettacolo è stato l’agonismo. Il lavoro fatto nei tre giorni precedenti con allenamenti e preparazione è stato vero, c’era grinta e voglia di stare in campo».

Eventi del genere possono essere la chiave per aumentare l’interesse verso il basket?
«Gli eventi organizzati bene e con la giusta testa fanno bene al basket. La serietà è la chiave per ottenere dei risultati buoni, con la risposta del pubblico. La prima cosa che si guarda è la serietà con cui si affrontano gli impegni e questo potrà portare solo a uno spettacolo più bello».

A Catania non si va avanti perché mancano ciclicamente i soldi. Ma sono così fondamentali nel basket odierno?
«I problemi e i dubbi aiutano a crescere, se si ha voglia di provare a risolverli invece di piangere. A Catania ho visto varie squadre, dal minibasket alla C2, mi sono divertito a vedere il Gad Etna e il Cus: in tutti ho visto grande serietà e professionalità. Sono le basi di partenza per costruire qualcosa d’importante. Ho avuto esperienze con società di C non all’avanguardia a livello economico, che hanno avuto il coraggio di puntare su giovani di 16-17 anni e questi ragazzi oggi stanno ad alto livello. Si può far bene pur non avendo grandi disponibilità economiche, ci sono altri punti cruciali da considerare: tanta serietà, coraggio, professionalità, attenzione ai dettagli e amore per il basket, con questa ricetta si va avanti verso un futuro roseo. Ho visto società che lavorano benissimo e il futuro qui a Catania può essere bello e piacevole, con molta serenità».

Roberto Quartarone

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