Pasquale Melissari e il futuro dell’Olympia
che passa dalla Lega del Mediterraneo

Intervista al presidente reggino… Gli echi della sfida con Vigarano… «O si fa la Lega o questo campionato non m’interessa»… «Il basket femminile è finito, vince solo chi ha soldi»… «La squadra può avere un futuro se Catania l’accoglie e l’apprezza»…

 

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Pasquale Melissari durante la gara-2 dei play-off (foto G. Maugeri)
Pasquale Melissari durante la gara-2 dei play-off (foto G. Maugeri)

Sembra ieri quando l’“affratellamento” tra la Rainbow di Fabio Ferlito e l’Olympia di Pasquale Melissari sanciva il trasferimento della formazione reggina a Catania e il ritorno di un campionato di Serie A2 in città a nove anni dalla chiusura della Palmarès. Giovedì, con l’uscita di scena dai play-off per l’A1, si è conclusa la prima stagione del progetto senior, che a livello giovanile è giunto invece al terzo anno di collaborazione. È Melissari, che ha seguito e incitato la squadra da bordo campo per tutta la gara, a tracciare un bilancio di questa sfida.

 «Sono non soddisfatto esordisce l’avvocatoperché abbiamo perso, ma ho tanta gioia per essere arrivati a questo punto. Le ragazze hanno messo il massimo dell’impegno, ci voleva un pizzico di fortuna. Quando si lotta per salire bisogna avere tutte le caselle riempite. Abbiamo subito due infortuni pesanti, Enrica Pavia e Giulia Melissari, più Giuliana La Manna e Valeria Imeneo: eravamo con l’infermeria piena! Non è una scusante, Vigarano è una squadra ben attrezzata e che gioca bene, ha molte rotazioni, però noi gli abbiamo dato meritatamente 30 punti in casa. È andata così, accettiamo il verdetto del campo».

A prescindere dall’epilogo, comunque, si ritiene soddisfatto della stagione?
«Siamo stati penalizzati durante la prima fase del campionato da incompetenza negli arbitraggi, e questo nel basket conta. Nella seconda fase abbiamo dimostrato che avremmo meritato di più. Se avessimo battuto Vigarano saremmo andati in A1. Il basket è strano, ma bisogna essere attrezzati per andare in A1, soprattutto dal punto di vista finanziario, anche perché significa triplicare le spese».

State già pensando a cosa fare il prossimo anno?
«Stiamo riflettendo. Siamo diventati i Globetrotters d’Italia: l’anno scorso a Reggio, quest’anno a Catania, l’anno prossimo non lo sappiamo».

Lo scopo di questa squadra era anche aprire la strada per la Lega del Mediterraneo. A che punto siamo?
«Per la Lega del Mediterraneo bisogna capire… Premetto che secondo me il basket femminile in Italia è finito: chi ha soldi vince il campionato. Non è il campo che decide, ma la programmazione e la finanza. Compri e paghi le migliori giocatrici e praticamente vinci. Si vede anche da Schio e Ragusa».

Però l’A1 la fa anche Priolo che non naviga nell’oro.
«Priolo è strutturato ed organizzato. Santino Coppa è un guru del basket, si muove nel mercato, conosce bene i meccanismi, Priolo ha una grande tradizione e meno male che c’è e resti a questi livelli. Catania può essere un buon polo. Non vorrei essere frainteso, ma avere tre squadre in Sicilia in A1 dà fastidio a livello nazionale. Significherebbe che la Sicilia è leader a livello nazionale nel basket, mentre così l’equilibrio è distribuito in maniera diversa. Bisogna fare una riflessione e capire che questo meccanismo… noi siamo stati penalizzati dalla differenza canestri, noi abbiamo vinto 7 partite su 8, loro 2. Se noi avessimo giocato la prima partita in casa forse non sarebbe andata così».

Questo però dipende dalle regole seguite finora…
«Il problema è che i meccanismi cambiano di anno in anno. Per assurdo, nella prima fase puoi non spendere nulla, nella seconda fase spendi e vinci. Questi arbitri non si rendono conto che, quando sono disattenti o non sono competenti perché provenienti da serie inferiori, producono un danno anche economico alle società che investono. Vedere perdere le partite perché c’è un sesto uomo in campo non fa bene. La classifica non dev’essere determinata dagli arbitri, che rispondono alla federazione. Quando vado in federazione perché sono stato multato e mi si dice che non si può guardare il video della partita mentre il regolamento lo impone, significa che il sistema non funziona più. E poi si paga un’imposta per giocare: noi paghiamo 35 mila euro, 3.500 euro ogni giocatrice, più altre cose. Tutte queste cose non funzionano».

E la Lega del Mediteranneo?
«La Lega del Mediterraneo sarebbe una lega libera, non si paga nulla, puoi mettere in campo tutte le giocatrici che vuoi, di qualsiasi nazionalità, perché gli atleti sono cittadini del mondo nell’era della globalizzazione,  se non si è capito questo significa che siamo alla preistoria. Sarebbe un sistema più libero, all’americana».

Quando partirà?
«La Lega potrebbe partire presto o il prossimo anno. La blocca la volontà del sistema. O si fa la Lega o questo campionato onestamente non m’interessa. Partecipare con altre squadre per mantenere questo sistema non m’interessa più. Fare un altro campionato di A2, spendere altri soldi con i partner, per far cosa? Andare in A1? Vincere lo scudetto? Invece si può fare un bel campionato per il Mediterraneo e ti diverti di più. Sarebbe un business che si amplia. Così mi costerebbe di meno e ci si divertirebbe di più. Nell’Europa unita che differenza c’è?»

Ma l’“affratellamento” con Ferlito proseguirà?
«Penso di sì. Molti pensavano che noi non saremmo arrivati alla fine di questo campionato. Nell’ambiente ne hanno dette di tutti i colori. C’è un’ottima amicizia tra noi. Bisogna capire se questa squadra a Catania può avere un futuro perché la città l’accoglie e l’apprezza».

Dalle presenze al palazzetto non si direbbe…
«Il palazzetto è troppo grande per una squadra di A2, se ci fosse una maggior presenza questo aiuta, aumenta la fiducia, la passione. Comunque lo sport, dappertutto, va indietro. Le giocatrici sul mercato sono poche. Dopo il 96, c’è poco, bisogna andare al 2000, c’è un buco di quattro anni che non aiuta. Le ragazze sono attratte da altre cose. Lo sport dovrebbe essere come un meccanismo che ti prepara alla vita lavorativa, il basket crea categorie mentali che altri sport non creano, crea un vantaggio che non praticando lo sport non hai. Lo dico per esperienza personale, diretta e come docente d’organizzazione. È un approccio scientifico: si studiano motivazioni, comportamenti, stress da gioco da riportare nell’ambiente. Questo sport ti insegna a riconoscere la leadership, a collaborare, a competere nel gruppo e con il gruppo contro un altro, a prendere decisioni immediate. Chi lo fa, deve pensare che lo sport deve divertire, non è un lavoro. Gli stipendi dovrebbero essere dei rimborsi spese come nei college, la società è una struttura che ti supporta e fornisce un percorso formativo che prepara per il futuro».

A questo punto, con tanti punti interrogativi sul domani, la palla è in mano dei presidenti: ci vorrà tanta lungimiranza e lucidità per decidere i prossimi, fondamentali, passi.

Roberto Quartarone
Twitter: @rojoazul86

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