Una coppia che a fine anni cinquanta portava alto il nome di Catania… Pignataro e l’ascesa dalla Promozione grazie a Penzo… Giuffrida tra nuoto, atletica e pallacanestro…
Le “figurine” storiche di Pignataro e Giuffrida |
Estate 1957, la Catania cestistica si ritrova contemporaneamente orfana del Centro Sportivo Italiano e della Libertas, le due squadre reduci dalla salvezza in Serie C maschile e dagli spareggi per la Serie A femminile. Il vuoto è presto colmato con il ripescaggio dell’ambiziosa Grifone del professor Alberto Di Blasi e con la nascita dell’Acese, che gioca comunque a Catania. In quelle due squadre c’è una coppia che s’è conosciuta al liceo e che è salda: Toti Pignataro e Anna Giuffrida. Tutti i fine settimana si dividono per andare in giro per la Sicilia e il Sud Italia, portando alto il nome di Catania.
Toti ha 18 anni, è alto 184 cm e gioca da pivot. Già ha conquistato sul campo una Promozione con il CSI, la successiva salvezza in C e ora è pronto per fare da leader della nuova squadra cittadina, capace di lanciare la scalata alla Serie A, appena sotto la prima serie delle scarpette rosse del Simmenthal Milano.
«Iniziai a 14 anni – ricorda oggi, quasi sessant’anni dopo – e lasciai a 20, quando iniziai con i laboratori dell’Università e la concorrenza in squadra diventò forte. Mi piace ricordare che ho portato la Grifone dalla Promozione alla Serie A, davo il mio contributo impegnandomi al massimo e dividendomi con lo studio e la pallanuoto in estate». Negli anni cinquanta era tipico che i giocatori si dividessero tra più discipline sportive, eccellendo in tutto. «Erano tempi eroici – prosegue Toti –. A pallanuoto si giocava al porto di Catania, al molo vecchio, ritagliando un tratto di mare, in mezzo alle meduse: la mia ultima partita in Serie C, con Pucci Reitano allenatore, ho fatto uno scatto, ho chiuso con il braccio per tirare e mi rimase una medusa attaccata sotto l’ascella. Reitano era anche cestista, così come Gigio Rinaldi che, oltre a essere un mio compagno di basket, era una delle stelle del Giglio Bianco di pallanuoto».
Mentre Pignataro si destreggia tirando a canestro al campo in cemento affianco allo stadio, anche Anna Giuffrida si divide tra una disciplina e l’altra: «Nuotavo e facevo atletica. In acqua ho avuto più successo: ricordo una gara di fondo dal molo del porto alla spiaggia della Plaia in mezzo alle meduse, con le barche che ci accompagnavano e le spostavano con le retine. Sono stata campionessa siciliana di dorso con l’Acese, mentre sono arrivata seconda nello stile libero contro Elena Cavallaro. A livello studentesco ho fatto anche salto in alto… frontale! Era molto diverso da oggi».
È però nel basket che entrambi sono protagonisti di due storie parallele ma altrettanto appassionanti. La Giuffrida infatti veste la maglia azzurra dell’Acese, che ambisce alla Serie A così come aveva fatto la Libertas appena un anno prima. «Non facevo molti canestri – ammette lei –, ma difendevo bene e prendevo molti rimbalzi. Marino, Grisiglione, Gottini e Montanini erano le migliori. Eravamo tutte di Catania, ma la squadra si chiamò Acese perché da là veniva lo sponsor, che pagava le trasferte. Ci accompagnava Gianni Pistarà, ci allenarono prima Santo Caponnetto poi Amerigo Penzo, che portò anche la nostra “straniera” da Venezia. Giocammo gli spareggi per la Serie A, la promozione arrivò ma non abbiamo mai giocato lì. Avevamo anche una mascotte: il pupazzo del “Musichiere”, il celebre programma tv a cui aveva partecipato Adriana Marino».
Risultati e nomi si perdono nel tempo, in una stampa che dava spazio solo saltuariamente alle imprese delle ragazze, che giocarono due campionati tra Promozione e Serie B. Ma la Giuffrida fu anche protagonista con la rappresentativa catanese alla Coppa Sicilia: «Sulle nostre maglie c’era il logo del provveditorato agli studi ed eravamo le stesse ragazze dell’Acese. Eravamo solo noi a giocare, a fare tutti i campionati, solo dopo arrivarono altre cestiste più giovani».
Mentre l’Acese chiudeva l’attività, la Grifone festeggiò il ripescaggio nella seconda serie, chiamata “A”. Amerigo Penzo allenava anche i ragazzi: «Era venuto da Venezia per andare in Serie A – riprende Pignataro –. Mi apprezzava e mi difese quando Bruno Cosentino, uno degli “oriundi”, mi accusò di non fare i movimenti giusti; lui lo guardò dal basso verso l’alto – era magrolino ma autorevole – e lo rimbrottò con il suo forte accento veneto: “Pensa a ciò che devi far tu, perché Pignataro fa sempre il movimento perfetto!” Me la cavavo in attacco segnando talvolta con il gancio, malgrado non avessi avuto grandi allenatori prima di lui. Gigi Mineo, infatti, era più un accompagnatore; solo in Serie B e in A si fecero dei veri e propri allenamenti e si usarono gli schemi!»
La squadra era bene assortita, con tanti elementi catanesi, ma anche qualche “oriundo”, come Pignataro definisce chi viene da fuori città. «Anche Pippo Grasso e Rocco Sciara erano “stranieri”, anche se venivano da Giarre! Arrivarono Tumino da Ragusa e il saltatore in alto Guarnotta da Trapani. Avevamo molti soprannomi: Totò Trovato era “Pilu ‘i zanzara”, perché era piccolino, Sebastiano Peluso era Tzetzè; Tonio Cacciola, cugino di Rinaldi, era “Tonio Virgola” (l’accompagnatore Casabianca lo confuse con Lombardo in un’altra intervista) oppure, come mi ricorda Toti Barbera, “Poppy”. Di Cacciola ricordo che ai campionati universitari di Pisa o Bologna l’accompagnatore Carmelo Palumbo gli chiese di fare numero nella squadra di lotta greco-romana. “Ma che siete pazzi!?” frenò lui. “Appena si avvicina l’avversario… ti abbii in terra e nessuno ti farà male” gli rispose Palumbo. Alla fine Cacciola si convinse, ma dovette saltare pure la cena perché per 200 grammi non rientrava nella categoria!»
I CNU con il CUS erano tra le poche occasioni di andare lontano dalla Sicilia. Non c’erano ancora delle vere e proprie finali giovanili federali. Per confrontarsi con altre realtà italiane c’era però il campionato del CSI. «Erano tornei importanti – testimonia Pignataro –. Ne ricordo uno a Pesaro, dove ebbi un’indigestione e rimasi in stanza durante una delle partite. I miei compagni mi volevano fare uno scherzo: socchiusero la porta e vi fecero passare una mano con un coltellaccio, ma io stavo dormendo e rimasero delusissimi perché non me ne accorsi!»
In casa si giocava all’aperto nel campo affianco al Cibali: «La tribunetta era fatta da tubi Innocenti, poi costruirono due o tre gradoni in cemento. Non c’erano le docce, così riempivamo i bidoni che i muratori usavano per costruire i gradoni e ci lavavamo (d’inverno, alla fine dell’allenamento serale…) tirandoci secchiate d’acqua presa da questi bidoni, come ricordava Santi Puglisi. Solo dopo che ho finito di giocare hanno coperto l’attuale PalaSpedini. Io mi ero già laureato, avevo iniziato un giro che in un decennio mi avrebbe portato tra Perugia, il Canada e Bologna, poi nel 1975 diventai professore ordinario di chimica fisica a Catania. Con Anna ci sposammo presto, abbiamo avuto tre splendidi figli e quattro magnifici nipoti. Uno dei figli, Bruno, è stato tra l’altro medaglia di bronzo alle Universiadi di pallanuoto con la Nazionale italiana».
Dopo una lunga ed eccellente carriera in Università, Toti guarda con Anna lo splendido panorama che si può gustare da casa loro in una delle colline che sovrastano Aci Trezza. I “tempi eroici” sono lontani, ma nessuno può cancellare l’eco di quelle piccole, ma importanti, gesta sportive.
Roberto Quartarone
Twitter: @rojoazul86
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