Europei di basket: Torino 1979
Gli scivoloni che chiusero un ciclo

Un’organizzazione in casa perfetta, salvo per il problema «metereologico»… Israele a sorpresa seconda… Tre esordienti importanti…

 

 

Il francobollo, con il logo della manifestazione, emesso in occasione dell’Europeo disputato in Italia.

La tavola era stata apparecchiata per bene. Doveva essere quella la volta buona che l’Italia cestistica trovasse finalmente piena sazietà per la sua fame di successi. Organizzare in casa un’altra edizione dell’Europeo, e organizzarla bene, era la prima mossa vincente da compiere. La seconda spettava alla Nazionale, che col sostegno del pubblico avrebbe forse più facilmente realizzato quel saltino di qualità che si attendeva ormai da tempo. Tutto si poteva preparare, tranne gli imprevisti… Su uno di questi, come vedremo, scivolarono gran parte delle speranze di centrare i due obiettivi. Restò un po’ di rammarico; fame, ancora tanta!

Dieci anni erano trascorsi dal primo “Europeo” italiano, ospitato a Napoli. L’interesse per il basket era cresciuto in maniera costante, spettatori e impianti si potevano trovare in qualsiasi angolo della Penisola. Ecco perché, oltre alla sede principale di Torino (dove fu la FIAT a dare il suo sostanzioso contributo economico), ne vennero reclutate altre tre in provincia, per la fase di qualificazione: Gorizia, Mestre e Siena. Veniva riproposta la formula dei tre gironi, ognuno composto da quattro squadre, le prime due a formare poi il girone finale all’italiana.

La Nazionale azzurra in preparazione all’Eurobasket ’79.

La Nazionale di Giancarlo Primo arrivava a questo appuntamento col bagaglio riempito da due quarti posti (Europeo di Liegi nel ’77 e Mondiali di Manila nel ’78) che gridavano riscatto per come ci si era visti sfuggire la medaglia. La ruota della fortuna, giocando in casa, avrebbe potuto girare nel verso giusto. E invece, già alla immediata vigilia si dovette fare i conti con i primi imprevisti, sotto forma di rinunce. La prima fu quella di Pierluigi Marzorati, pedina insostituibile da otto anni, che chiese di essere lasciato a casa (“solo per stavolta, vi prego!”), sfinito dalle fatiche del campionato e da quelle che lo avevano condotto alla laurea in ingegneria. Poi ci furono i forfait di altri due titolari: Renzo Bariviera (che diede così l’addio anticipato alla maglia azzurra) e Fabrizio Della Fiori (che si fratturò proprio nell’ultimo allenamento).

Assenze importanti, ma con gli uomini a disposizione si poteva ugualmente sognare. Insieme all’immancabile Meneghin (lui in squadra figurava da undici anni), c’erano i riconfermati Caglieris, Carraro, Bertolotti, Bonamico, Serafini, Ferracini, Vecchiato, più Villalta che aveva saltato il precedente europeo. Poi tre esordienti, che non sarebbero passati come una meteora. Due avevano una storia parallela, entrambi umbri di Spoleto ed entrambi cresciuti cestisticamente a Rieti: Roberto Brunamonti, un play molto abile come contropiedista ed efficace in difesa, e Domenico Zampolini, ala dal fisico robusto, in possesso di un caratteristico ed efficace tiro dalla distanza, con parabola alta. Il terzo, dei nuovi, era il romano Enrico Gilardi, versatile nei ruoli (play, guardia, ala), redditizio nel gioco di squadra; sarebbe entrato negli annali come il primo prodotto del mini-basket approdato in Nazionale.

Renato Villalta va a canestro superando il 2 e 15 Kokolakis, nell’esordio vittorioso a Mestre con la Grecia (da Giganti del basket, n° 8, 1979).

Superare il turno di qualificazione, nel girone di Mestre, non poteva rappresentare un problema; e infatti si risolse nelle prime due partite, che videro gli azzurri vincere agevolmente con Grecia e Belgio. I problemi nacquero nel terzo incontro, con quella Cecoslovacchia che ci avrebbe fatto compagnia a Torino, e in palio c’erano due punti da portarsi dietro. L’imprevisto, stavolta, fu di tipo “meteorologico”. Si era alla prima metà di giugno, ma il caldo era già da estate inoltrata; tanta l’umidità all’interno del Palasport comunale (inaugurato appena due anni prima) da trasformare praticamente il parquet – man mano che la partita andava avanti – in una autentica pista da pattinaggio. Gli spettatori in tribuna e i tantissimi in televisione assistettero a evoluzioni davvero grottesche dei giocatori. Ad avere la meno peggio furono i giocatori cechi, che meglio piantati a terra seppero difendere il vantaggio iniziale. Mentre da parte italiana la mortificazione coinvolse sia la squadra che l’organizzazione, per il resto rivelatasi impeccabile.

Dino Meneghin conquista un rimbalzo nella sfida con la Spagna, a Torino, vinta di un punto (da Giganti del basket, n° 8, 1979).

Il pubblico di Torino ci provò a risollevare le sorti azzurre nel girone finale, e sembrava che l’impresa potesse riuscire. Si cominciò con una convincente vittoria con Israele (mai pensando che potesse addirittura arrivare seconda), poi un successo di misura contro la Spagna, che restituì completamente morale e speranze. Restavano le partite con Jugoslavia e URSS. Con il primo non ci fu neanche il tempo di illudersi (95 a 80 il finale); con i sovietici non bastarono i 28 punti di Caglieris e il gran tifo del Palaruffini: sei sole lunghezze di scarto (90 a 84), e ancora tanti rimpianti. La vera beffa fu quella di arrivare al quarto posto a pari punti con la Cecoslovacchia, che avendoci battuto nella partita degli “scivoloni” ci superò nella classifica avulsa. Italia quinta!

La medaglia d’oro la riconquistava l’URSS, dopo che per tre edizioni era stata costretta a cedere il passo. Il colonnello dell’Armata Rossa, Aleksandr Gomelskj, ce l’aveva fatta a riportare i suoi ai trionfi di un tempo, affidandosi soprattutto alla personalità di un intramontabile Sergej Belov (per la sesta volta eletto nel miglior quintetto, record mai più battuto). Nella finalissima i sovietici si erano trovati davanti non la Jugoslavia (che comunque avevano già nettamente battuto, e che poi si aggiudicò il bronzo) ma l’Israele. Ed ecco la sorpresa. Squadra senza un vero pivot, gioco lontano dal canestro, dove a brillare era soprattutto un certo Mirko Berkowitz, ala piccola di scuola statunitense, del Maccabi di Tel Aviv, premiato alla fine come miglior giocatore del torneo. Sarebbe stata la prima e ultima volta in cui si sarebbe vista la stella di David sventolare su un podio europeo.

Giancarlo Primo, a sinistra, con il suo vice Sandro Gamba: si prepara il passaggio di consegne (da Giganti del basket, n° 8, 1979).

Per la Nazionale azzurra, intanto, finiva l’avventura di Giancarlo Primo. Un bilancio, il suo, con due medaglie di bronzo e una lunga serie di quarti e quinti posti; al di sotto del sesto, quello del suo esordio a Napoli ‘69, non era più andato. A Torino, era stato affiancato in panchina da Sandro Gamba, ex gloria azzurra come giocatore, divenuto uno dei più affermati allenatori del campionato. Doveva portare una nuova ventata di grinta, e infatti si sbracciò più del suo titolare, durante le partite di quell’Europeo. Il passaggio di consegne, di fatto, era già avvenuto…

 

Nunzio Spina

Liegi 1977Praga 1981
I ricordi di Carlo Caglieris e Gianni Bertolotti

1 commento

  1. Buongiorno. Ricordo bene gli scivoloni dei giocatori italiani al palasport Taliercio di Mestre. I giocatori Cechi non erano” meglio piantati a terra”, come descritto nell’articolo. Il problema era legato al modello di scarpe indossato, sponsor della nazionale italiana. A quel tempo era un marchio emergente che voleva contrastare il dominio di Adidas e All Star, ora spopola e non solo come scarpa da basket.

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