Europei di basket: Nantes 1983
Finalmente oro, e spumante a fiumi

Un lungo cammino verso il primo oro della Nazionale italianaUna finale tutta occidentale e inedita… 

La Nazionale maschile di basket all’Europeo in Francia: in piedi da sinistra, Puglisi, Gamba, Bonamico, Meneghin, Vecchiato, Costa, Villalta, Tonut, Sales, il medico Ferrantelli; in basso, il massaggiatore Galleani, Brunamonti, Gilardi, Caglieris, Sacchetti, Riva, Marzorati (da Conoscere il basket).

Giorno, mese e anno. Quando si ricordano certi avvenimenti, bisogna cominciare dalla data esatta. Era il 4 giugno 1983. A Nantes, città francese della Loira con vista Atlantico, gli azzurri del basket conquistavano il loro primo oro europeo. C’era voluto quasi mezzo secolo per raggiungere il punto più alto, e il fatto di esserci arrivati con le proprie forze, e senza neanche i favori del pronostico, diede ancor più la percezione della grande impresa sportiva. Quindi tutto era destinato a rimanere scolpito nella storia, quella data a trasformarsi in ricorrenza da celebrare.

 

Per rivedere certe immagini, e magari riprovare l’emozione di allora, a qualcuno basterà ancora chiudere gli occhi. Ecco Charlie Caglieris, al suono della sirena nella finalissima con la Spagna, correre solitario per il campo e baciare il pallone che tiene stretto tra le mani. E l’allenatore Sandro Gamba, in versione capo guerriero, portato in trionfo dai suoi giocatori. E poi lui, Dino Meneghin, 33 anni, che gioisce come un ragazzino e che si lascia volentieri inondare da un fiume di spumante (spumante Ferrari, non lo champagne degli ostili francesi!).

 

Italia-Jugoslavia. Sceneggiata di Kicanovic dopo un fallo subito, sul 30 a 29 per gli azzurri; lo stesso giocatore scatenerà poi la famosa rissa del secondo tempo (da Conoscere il basket).

Scene, italianissime, di un meritato trionfo. Che la nostra Nazionale ha costruito sapientemente, affrontando ogni partita e ogni avversario con la giusta concentrazione, esprimendo il miglior gioco di squadra. Ognuno a dare il suo contributo, alternandosi nel ruolo di protagonista e di comprimario a seconda del momento e delle necessità. Grande predisposizione a lottare in campo su ogni pallone, soprattutto in difesa, nella cui rete tutti gli avversari sono rimasti alla fine imbrigliati, compresi i grandi tiratori della Spagna e della Jugoslavia.

 

Gamba stavolta aveva potuto disporre di tempo per la preparazione. Si iniziava a giocare il 26 maggio, ma il campionato, opportunamente, aveva chiuso i battenti già ad aprile, col primo scudetto di Roma nel dopoguerra. A Limoges, sede di uno dei due gironi di qualificazione (l’altro si disputava a Caen), la squadra azzurra dovette vedersela subito con la Spagna, forza europea emergente, con i fuoriclasse Martin, l’esterno San Epifanio (detto Epi) e il play Corbalan (premiato alla fine come miglior giocatore). Si sarebbe rivelata la partita più difficile, vinta con grande determinazione a tre secondi dalla fine, con un canestro “ferro e dentro” (e per questo memorabile) di Pierluigi Marzorati (75-74). Il destino, forse, aveva deciso già che strada prendere!

Charlie Caglieris in azione: nella finalissima con la Spagna ha guidato la squadra con “limpidezza di pensiero”, secondo il giudizio di coach Sandro Gamba (da Giganti del basket, n° 7, 1983).

In squadra, oltre a Meneghin e Marzorati, c’erano Villalta, Gilardi, Brunamonti, Vecchiato, Costa; erano stati richiamati (rispetto alla precedente edizione di Praga) Caglieris, Sacchetti e Bonamico; facevano la loro comparsa Antonello Riva, ventunenne ala piccola, destinato a entrare nella storia della Nazionale come migliore realizzatore, e Alberto Tonut.

 

Superato l’ostacolo Spagna, il cammino fu in discesa contro Svezia, Grecia e Francia; non erano squadre cuscinetto, ma se si affrontavano con impegno e intensità dal primo all’ultimo minuto, si potevano far fuori anche con 25 punti di scarto. Proprio quello che avvenne con la Grecia (che pure aveva nelle sue file l’americano Nikos Galis, alla fine miglior marcatore del torneo) e con gli stessi ambiziosi padroni di casa.

Dopo quattro vittorie su quattro poteva sembrare fatta per la qualificazione, e invece ci fu da giocarsi tutto nell’ultima partita del girone, che ci vedeva opposti alla Jugoslavia. Avevano mostrato qualche segno di cedimento, Cosic e compagni, perdendo con la Spagna, ma di un solo punto. In pratica, bastava che l’Italia perdesse di due, per ritrovarsi terza nel girone e poi lottare addirittura per il quinto posto. Fu una partita ad altissima tensione, gli slavi ovviamente non ci stavano a rinunciare a quel podio sul quale erano sempre saliti nelle ultime sette edizioni. Il loro errore fu di portare la partita sulla rissa, e qui la reazione degli azzurri (compresa quella di Gamba che inseguì per il campo Kikanovic, reo di avere sferrato un calcio a Villalta) diede la spinta psicologica giusta per avere la meglio in campo: 91 a 76 il risultato finale, una batosta che vendicava tante beffe subìte in passato.

 

Braccia e trofeo al cielo per salutare il primo oro europeo dell’Italia: da sinistra, Sacchetti, Caglieris e Marzorati (da Conoscere il basket).

Come premio per la prodezza appena compiuta, la Nazionale trovò, appena arrivata a Nantes, una bella sorpresa: in semifinale non c’era un’altra squadra dell’Est da incontrare, ma gli insospettabili… “Paesi Bassi”! L’Olanda, che fino ad allora aveva praticamente vissuto nel pieno anonimato e che tra le sue file vantava degli illustri sconosciuti, non fu affatto un ostacolo, anche perché gli azzurri non erano proprio in vena di sottovalutare alcun avversario. Un netto 88 a 69, e via verso la finale per l’oro; dove, altra bella sorpresa col fiocco (almeno così si presentò), non ci toccava la strafavorita URSS, ma la Spagna, che nell’altra semifinale aveva avuto la meglio per un punto.

 

Di nuovo la Nazionale schierata a favore dei fotografi: stavolta con euforico disordine e con la medaglia d’oro al collo. Si notano anche il team manager Cesare Rubini e il presidente della FIP Enrico Vinci, rispettivamente il terzo da sinistra e il terzo da destra, in piedi (da Conoscere il basket).

A una finale tutta “occidentale” non si era mai assistito nella lunga storia degli Europei. Entrambe erano già arrivate a disputarsi la finalissima, ma si erano dovute accontentare dell’argento: la Spagna nel ’73 a Barcellona, l’Italia addirittura due volte, ma molti, molti anni prima, nel ’37 e nel ’46. Vinse la squadra “più squadra” – per stessa ammissione del coach spagnolo Diaz Miguel – e stavolta per il punteggio finale (105 a 96) non si potevano invocare episodi fortunati. Le scene di esultanza degli azzurri, al suono della sirena, non potevano non rimanere scolpite nella storia!

 

Un unico rammarico. Che nel miglior quintetto del torneo, ancora una volta, non fosse presente alcun italiano. Vero è che la squadra, unita quanto mai, si era espressa come complesso e non come individualità; ma forse un Renato Villalta, tanto per fare un nome, ci sarebbe stato bene in quella formazione ideale. Dove invece si ritrovarono l’ala grande slovacca Kropilak, il greco Galis, gli spagnoli Corbalan ed Epi, più l’astro nascente sovietico, Arvidas Sabonis, diciannovenne lituano di 2 e 21, erede di Tkakcenko, ma molto più agile e più tecnico. Di lui e dell’URSS si sarebbe ancora sentito parlare.

 

 

 

Nunzio Spina

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