Mondiali di basket: Santiago del Cile 1959
L’URSS c’è, ma regala il titolo al Brasile

I sovietici protagonisti di una scelta finale clamorosa… Cile, l’aiutino ai padroni di casa… Il campo… L’Italia pensa a Roma… Europa, continente povero…

URSS-Cile: 75 a 49. Il giocatore sudamericano sembra intimidito dal difensore diretto Zubkov (7), e soprattutto dalla imponente mole del 2 e 20 Jānis Krūmiņš (9) (dal periodico “Pallacanestro, 1959”).

Non poteva più definirsi “campionato mondiale” un torneo in cui continuava a mancare l’Unione Sovietica, la squadra che da più di dieci anni ormai dominava incontrastata la scena europea. La partecipazione tanto attesa era arrivata, finalmente, nella edizione numero tre, ospitata ancora una volta in Sudamerica (in quale altro posto se no?). Tutto ci si poteva immaginare, tranne che proprio lei, l’URSS, finisse col rovinarsi la festa del debutto. Aveva in mano la medaglia d’oro, la buttò via per un pretesto politico.

Andiamo subito all’episodio. A Santiago del Cile si disputava il girone finale a sette, dopo una fase di qualificazione in tre gironi. L’Unione Sovietica le aveva vinte tutte le partite, comprese quelle con gli Stati Uniti (batosta epica, 62 a 37) e col tenace Brasile (un più sofferto 66 a 62). Gli restava da far fuori Formosa (che dopo aver superato la prima fase aveva solo rimediato sconfitte) e il titolo mondiale sarebbe stato suo. Invece niente; piombò il grande rifiuto di incontrare sul campo la rappresentativa della Cina Nazionalista (Formosa, appunto), non riconosciuta come stato autonomo dal regime sovietico, da parte sua solidale alla Cina Popolare. Risultato: 2 a 0 a tavolino a favore della squadra asiatica, URSS squalificata e retrocessa all’ultimo posto, assieme alla Bulgaria, che pensò bene di imitare il gesto della sorella maggiore.

Nell’archivio rimangono scritti solo gli epiloghi delle storie. E quella volta le cose andarono a finire così: medaglia d’oro al Brasile (il titolo mondiale che avrebbe tanto sperato di vincere nella precedente edizione disputata in casa); argento agli Stati Uniti (con una squadra di amatori, più che dilettanti); bronzo ai padroni di casa del Cile (ritrovatisi sul podio dopo il “favore” dei sovietici e la vittoria di 1 su Formosa, giunta in classifica a pari punti). Tutti, in cuor loro, ringraziarono quel clamoroso rifiuto.

Il brasiliano Espo Dipso “Dos Santos” cerca di farsi largo tra le strette maglie difensive dell’URSS, vittoriosa anche in questa circostanza prima del clamoroso rifiuto che la penalizzerà (dal periodico “Pallacanestro, 1959”).

Come paese organizzatore, forse, il Cile non meritava tanta felice ventura. La capitale Santiago aveva in progetto di ospitare gli incontri nel Metropolitan Indoor Stadium, grande arena al coperto, la cui costruzione avrebbe dovuto addirittura essere ultimata per la prima edizione dei Mondiali femminili di basket del ’53. Ritardi su ritardi nella costruzione avevano dapprima costretto gli organizzatori a rinviare la manifestazione maschile di qualche mese, dall’autunno del ’58 alla seconda metà di gennaio dell’anno successivo; poi addirittura al trasferimento nello stadio all’aperto del calcio, l’Estadio Nacional de Chile, con la buona sorte (anche in questo) che il tempo fosse sempre clemente in quei giorni.

A Santiago si disputò solo la fase finale. I tre gironi di qualificazione nelle città di Concepción (USA, Formosa, Argentina, Repubblica Araba Unita), Temuco (URSS, Brasile, Canada, Messico) e Antofagasta (Bulgaria, Portorico, Filippine, Uruguay); Valparaiso per il girone di consolazione. Il Cile partiva già col vantaggio di essere qualificata di diritto alla fase finale all’italiana, assieme alle prime due di ogni girone. Più favoriti di così…

Erano sempre le rappresentative del continente americano a prevalere numericamente (otto su tredici); l’Asia confermava Formosa e Filippine, l’Africa aveva l’Egitto, che si presentava sotto la denominazione di Repubblica Araba Unita (fu eliminata ma non se la cavò affatto male, perdendo di misura con Formosa e costringendo al supplementare l’Argentina). Continuavano a farsi desiderare le formazioni europee, perché l’ingresso delle due formazioni dell’Est veniva bilanciato dalla assenza assoluta di quelle dell’Ovest, in testa la Francia, che avrebbe potuto dire la sua per un posto sul podio. Dell’Italia neanche a parlarne: alle solite difficoltà della distanza, delle spese di spedizione, del periodo poco favorevole (figuriamoci, a gennaio!), si aggiungeva anche la motivazione delle Olimpiadi. Erano in programma a Roma appena un anno dopo, e al nuovo tecnico della Nazionale, Nello Paratore, era stato chiesto di concentrare tutti gli sforzi per quell’importante appuntamento.

Alla fine, tra defezioni e rifiuti, l’Europa fece ancora una volta la figura del continente povero. Certo, l’URSS se l’era proprio cercato questo smacco. Nonostante una distrazione col Canada nel girone di qualificazione (ma calcolando bene la differenza punti a suo favore), i sovietici avevano sempre imposto la loro superiorità, soprattutto fisica e atletica; non a caso, nel miglior quintetto veniva inserito Jānis Krūmiņš, gigante lettone di 2,20, che non si muoveva certo con l’eleganza di un ballerino, ma se prendeva palla a quelle quote non c’erano avversari per lui. Per dimostrare che i propri cestisti erano stati comunque i più forti, il governo di Mosca decise di coniare un francobollo che celebrava la vittoria “morale”!

Una entrata a canestro dello statunitense Jerry Waida, militare USAF, che è risultato il miglior marcatore della sua squadra nel Mondiale in Cile (dal sito “elpais.com”).

A entusiasmare il pubblico di Santiago (30.000 scalmanati sulle tribune dell’Estadio) fu soprattutto il Brasile, col suo gioco brioso, la girandola continua e ubriacante, la ricerca leziosa delle acrobazie; Amaury (eletto MVP), Wlamir e Dos Santos, tra gli altri, sembravano dei Globetrotters. Pur di guadagnare applausi, i verde-oro perdevano a volte di vista il punteggio, e così magari si lasciavano superare dall’URSS (due volte in quel torneo), che allo spettacolo concedeva poco o nulla.

Per gli Stati Uniti solita partecipazione snob. Anzi, c’era stato anche un proposito di forfeit, quando gli organizzatori avevano annunciato il rinvio all’anno successivo; proposito poi bonariamente rientrato, tanto una squadretta si sarebbe trovata comunque. Quella volta, con i campionati dilettantistici NCAA e AAU in pieno svolgimento, fu inviata addirittura una formazione militare dell’Aeronautica (USAF: United States Air Force). Sconfitta nettamente anche dal Brasile (oltre che dall’URSS), la rappresentativa a stelle e strisce superò di misura Portorico ed ebbe qualche problema contro Bulgaria e Cile (con i padroni di casa dovette sopportare anche le intemperanze del pubblico). Per quanto modesta, però, salì sul podio, che fino allora non aveva ancora abbandonato in un Mondiale.

Il miglior marcatore della manifestazione superava per la prima volta il tetto dei 20 punti di media a partita: si chiamava Chen Tsu Li, e vestiva la maglia di Formosa. Un buon motivo, questo, per ricordare la partecipazione dei cestisti asiatici, che stavolta si comportarono meglio dei cugini delle Filippine, eliminati nel girone di qualificazione. Stessa sorte capitata all’Uruguay, che stranamente non riusciva a ingranare in questa competizione, dopo avere conquistato il bronzo nelle due ultime edizioni delle Olimpiadi.

Nunzio Spina

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