I grandi protagonisti dei Mondiali
Madrid ’14: Mike Krzyzewski

Il palmarès eccezionale del «piccolo uomo»… Il record delle partite vinte in NCAA… The GOAT… Il “No thanks” alle offerte della NBA…

Mike Krzyzewski, il “piccolo uomo”, indica la strategia ai suoi nel Mondiale in Spagna del 2014 (dal sito “eu.courier-journal.com”)

Un protagonista discreto, schivo, quasi compiaciuto del suo metro e settantotto che gli permetteva di nascondersi in mezzo ai giganti. Persino quel soprannome racchiuso in una lettera, “Coach K”, si è adeguato alla semplicità del proprio essere. Il Mondiale di Madrid 2014 non è stato che uno dei suoi tanti successi, sicuramente tra i più significativi per comprendere e apprezzare le sue capacità. Così, rimanendo dietro le quinte, l’allenatore della Nazionale statunitense Mike Krzyzewski, nato a Chicago nel ’47 in una famiglia di origine polacca, si è visto – suo malgrado – puntare i riflettori addosso.

Il palmares di questo “piccolo uomo” era destinato a frantumare i primati dei suoi predecessori. Due medaglie di bronzo e due di oro ai Mondiali (la prima di queste alla edizione del ’90, quando gli venne messa in mano una squadra di ragazzini dilettanti); un oro ai Giochi Panamericani; tre ori consecutivi (record assoluto) alle ultime tre edizioni delle Olimpiadi. Dal 2006, da quando gli è stato riaffidato in pianta stabile l’incarico di head coach della rappresentativa statunitense, i numeri parlano di una sola sconfitta e ben 75 vittorie. Mai nessuno meglio di lui. Entrare nella Naismith Hall of Fame gli spettava di diritto!

La presenza dei giocatori NBA non basta da sola per spiegare risultati come questi, perché in altre occasioni, senza “Coach K” in panchina, si era raccolto meno o nulla. Il suo valore aggiunto si è misurato nella preparazione meticolosa, nell’umiltà, nel rispetto del basket non americano. Sostenitore della difesa aggressiva come presupposto indispensabile per ogni vittoria, e contro qualsiasi avversario, il Mondiale spagnolo ha dimostrato – più che nelle altre manifestazioni – come anche un gruppo di professionisti non di primissima scelta potesse diventare, nelle sue mani, una squadra da sogno.

Coach K con la medaglia d’oro al collo assieme a Kyrie Irving e Mason Plumlee. Già nel 2001 Krzyzewski era stato inserito nella Naismith Hall of Fame (dal sito “newobserver.com”).

Lavoro e dedizione, del resto, erano stati i mattoni sui quali aveva edificato la sua carriera – altrettanto trionfale – nei campionati universitari. Con i Duke Blue Devils era riuscito a superare il record di partite vinte in NCAA (902) detenuto fino allora dal leggendario Bob Knight, che lo aveva avuto come giocatore nella squadra dell’accademia militare di West Point, prima di diventare il suo mentore come allenatore. Krzyzewski sarebbe poi salito, in maniera irriverente, a quota 1099, stritolando tutti i possibili record del basket statunitense. Motivo per cui, al modesto e sbrigativo “K”, qualcuno ha pensato di aggiungere anche il nomignolo “the Goat”, che letteralmente vuol dire “capra”, ma scomposto come acronimo sta per “Greatest of All Time” (il più grande di tutti i tempi).

 

Era ovvio che, prima o poi, le sirene della NBA arrivassero forti alle sue orecchie. Lui ha resistito senza bisogno di farsi legare; gli è bastato un cenno di rifiuto col capo, fatto una prima, una seconda, fino a una quinta volta su altrettante richieste a suon di dollari. No, thanks! In quel mondo, aveva il forte timore di non poter essere più sé stesso.

 

Nunzio Spina

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