Barack Obama: quando il basket diventa ragione di stato

Il presidente degli USA cita Yao Ming nell’incontro con il presidente cinese ~ La passione di Obama chiara sin dal primo videomessaggio ~ La sua vita attraverso il basket.

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Se voleva ancora una volta stupire il mondo del basket con effetti speciali, c’è riuscito in pieno. L’ultima trovata di Barack Obama, il 44° Presidente degli Stati Uniti d’America, è stata addirittura quella di utilizzare il suo sport preferito come arma di diplomazia internazionale. Altro che due tiri a canestro su un campetto più o meno improvvisato, altro che un’occasione per distendere gambe e cervello tra una riunione e l’altra. Il basket, piuttosto, come filosofia di vita, come strategia di azione; il basket che viene elevato a esempio da seguire – nientemeno – in una proposta di cooperazione economica e politica tra due superpotenze.

G2. Barack Obama e Hu Jintao [Il Giornale].

Cose grosse, non discorsetti da propaganda. Obama parla nella sua Washington, con la sicurezza e la serenità che lo hanno finora contraddistinto. Dal palco del vertice G2 tra USA e Cina (su uno sfondo fatto di bandiere dei due paesi che si intrecciano tra loro) lancia i suoi messaggi carichi di idee e di ottimismo. Uno di questi sembra finemente studiato per sensibilizzare il rigido interlocutore orientale, oltre che per guadagnare i titoli dei giornali e dei blog di tutto il mondo. Sia io, sia il Presidente Hu – misura le parole il capo della Casa Bianca – sappiamo quanto è importante avere subito buone relazioni. Naturalmente, come nuovo presidente e come tifoso di basket, ho imparato molto da Yao Ming che una volta ha detto: “Non importa se sei un giocatore esperto o se sei agli inizi. Comunque hai bisogno di tempo per adattarti al gioco di squadra”. Per questo, a partire dal confronto di oggi così costruttivo sono fiducioso che insieme faremo come ci ha detto Ming e raggiungeremo il suo livello di gioco.

Il basket e i suoi personaggi messi lì, in prima linea, in un dialogo serio tra due grandi stati: laddove si discute di clima e di energia, di nucleare e di sicurezza; dove le decisioni in pratica possono condizionare il futuro dell’umanità. Obama invoca il gioco di squadra come percorso obbligato per raggiungere un risultato positivo e condiviso. La metafora del basket gli viene su dal cuore, spontanea, genuina; forse un po’ di astuzia la mette nell’elogiare la figura di Yao Ming, gigante cinese, da sette anni protagonista della NBA nelle file degli Houston Rockets. L’aneddoto che ne viene fuori, comunque, sembra colpire nel segno. Chissà se davvero si ridurranno le distanze tra due paesi ancora così lontani, se il presidente Hu Jintao (magari suggestionato dalle frasi accattivanti del collega americano) si sentirà anche lui come un cestista in campo che cerca di lottare insieme ai compagni: se questo accadrà, bisognerà pensare che la passione per uno sport – e sappiamo di quale stiamo parlando – è riuscita a influenzare anche le scelte di un capo di stato importante come quello degli Stati Uniti.

Del resto, Obama lo aveva in qualche modo dichiarato fin dallinizio. Nel suo primo video-messaggio da neo-presidente (una forma di comunicazione a lui particolarmente cara) si era presentato su una scenografia caratterizzata da tre simboli: la bandiera a stelle e strisce, gli scritti di John Kennedy, un pallone da basket. Come dire, ecco i miei ideali! Oltre a essere il primo presidente afro-americano nella storia degli States, sfoggiava anche questa priorità: l’amore per il basket (da praticante, oltre che da tifoso), dopo una lunga schiera di predecessori che dallo sport si erano tenuti lontano o che, al massimo, avevano rivolto qualche sguardo distratto al baseball o al football.

HIGH SCHOOL. Barack Obama ai tempi dell’high school [F.Mecucci su webalice.it].

Per Barack il basket era stata una cosa seria. Si era distinto con successo nella squadra della high school delle isole Hawaii, dove aveva vissuto l’adolescenza. Era un’ala piccola molto veloce dicono le sue biografie che in attacco cercava di sfruttare le penetrazioni, ma non disdegnava il tiro da fuori, col quel suo jump di sinistro. Una foto della sua squadra, la Punahou School di Honolulu (che tra l’altro vinse il titolo dello stato), lo ritrae al centro dei compagni, lui unico nero, con capelli ricci e alti stile Doctor J, il suo idolo. Sembrava già da allora destinato a diventare un leader!

Arrivarono poi gli anni dell’università: Los Angeles, New York, la Harvard University a Cambridge. Dicono che spesso teneva i libri su una mano e un pallone di basket sull’altra. Ovviamente fu l’interesse per i primi a pesare di più, altrimenti gli Stati Uniti non lo avrebbero mai avuto come presidente; ma la sua voglia di giocare non è venuta mai meno, anche quando, ultimati gli studi, si trasferì a Chicago e là cominciò la sua brillante carriera. Abbandonata ogni velleità agonistica, non restava che il playground: più che un ripiego, era per lui la maniera migliore di esprimere il suo puro amore per il basket. Andava matto (e ci va tuttora) per i pickup, le partite informali, quelle improvvisate sulla strada: non riesco a immaginare un divertimento più grande, ha più volte confidato.

Fu in una di queste sfide che conquistò definitivamente il cuore della sua attuale compagna Michelle. L’aveva conosciuta nel South Side a Chigaco, si era ritrovato di fronte, in una partita, il fratello di lei, Craig Robinson, attuale allenatore dell’Oregon State. Il referto consegnato alla sorella, a fine gara, parlava chiaro: Barack era giudicato un buon giocatore e, soprattutto, una persona buona, sincera e unselfish (altruista); da sposare, insomma!

OGGI. Barack Obama gioca ancora oggi [New York Times].

Non era diventato nè un giocatore dellUCLA, nè tanto meno della NBA; ma il basket lo avrebbe sempre accompagnato nei suoi momenti pi belli e nei suoi successi. Ai primi di novembre scorso, proprio nelle ore in cui stava maturando la sua sensazionale vittoria elettorale, lui, il rampante candidato democratico che aveva attirato su di sè l’attenzione generale, se ne stava tranquillamente a giocare con colleghi e amici, come a voler esorcizzare le forze contrarie alla sua epocale vittoria.

Il resto è storia di oggi, a tutti nota. La storia di un presidente che non perde occasione per svagarsi un po’ dai suoi numerosi impegni grazie a un pallone di basket: quattro palleggi, due tiri a canestro, spesso chiama a raccolta qualcuno dei suoi collaboratori che, per fortuna (o magari per sua scelta), condividono la stessa passione. A Obama, talvolta, basta una breve pausa per buttarsi dentro in uno di quei 3 contro 3 che si possono consumare in pochi minuti. Se poi il tempo è meno tiranno, allora ci può essere spazio anche per qualcosa di più impegnativo: a tal proposito, una delle sue tante promesse è stata quella di trasformare in palestra di basket la pista di bowling (sigh) che Richard Nixon, Presidente negli anni 69-74, aveva fatto costruire proprio all’interno della Casa Bianca.

Intanto, tutto il mondo è già stato avvisato. Se invitate Barack Obama (vertici, conferenze, visite di stato), non fate assolutamente mancare un canestro e un buon pallone di cuoio. Per il campo di gioco si accontenta di poco, almeno per il momento: anche un piccolo spiazzo, come quello ricavato in un cortile della caserma di Coppito, al recente G8 dell’Aquila. Là addirittura si è esibito in maniche di camicia e con la cravatta al collo in una serie di tiri dalla distanza, sorprendendo i presenti con una sequenza di tre bombe da tre.

Nel suo paese, la scorsa primavera, aveva conquistato un bel po’ di punti – diciamo così – grazie al suo famoso pronostico sul campionato NCAA (il torneo universitario): compilando il tabellone a eliminazione diretta delle 64 partecipanti, aveva azzeccato l’esito di molte partite e, soprattutto, il nome della squadra vincitrice, il North Carolina. Poi altri exploit cestistici, fino a quest’ultimo della diplomazia tra USA e Cina che, sotto questo aspetto di cultura sportiva, lo ha davvero proiettato in una dimensione internazionale.

Cosa dobbiamo aspettarci ancora? Che Obama sia attualmente il testimonial più autorevole e più comunicativo per il basket, al di sopra anche dei campioni in attività, qualcuno può ragionevolmente affermarlo. Che poi il basket serva effettivamente a lui per una definitiva affermazione, è ancora tutto da vedere: se la sua carriera di cestista è finita da tempo, quella di presidente-cestista non è che agli inizi. Finora è stata una risorsa che gli ha permesso di raccogliere consensi e di scuotere anche qualche coscienza. Chissà che un giorno non ne risenta anche lo slogan che lo ha reso famoso e lo ha lanciato alla ribalta: non più Yes, we can!, ma Yes, the basketball can!

Nunzio Spina

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