La rinascita del Cus: Gaetano Russo

Per sua scelta, è lontano dai parquet della Serie C da più di tre anni, dopo aver dato tanto al Gad Etna, al Cus Catania e allo Sport Club Gravina. Oggi, Gaetano Russo si occupa del centro di addestramento dei giovani cestisti del Centro Universitario Sportivo e attraverso loro punta al rilancio della pallacanestro a Catania: «quest’anno è stato avviato un progetto che in futuro dovrebbe portarci in alto. Proprio attraverso il settore giovanile noi creeremo la base per costruire una piramide solida, sulla cui vetta poggerà il Gad Etna.»

In cosa consiste questo progetto?

«Quest’anno sono venuti a trovarmi Costantino Condorelli e Marco Distefano, due miei ex allievi che hanno rilevato lo scorso anno il Gad: mi hanno detto che c’è la volontà di acquistare un titolo di Serie C1 per il prossimo campionato per poi puntare alla Serie B. Il Cus fornirà loro la base necessaria del settore giovanile. Io tornerò ad impegnarmi in prima persona solo quando potrò puntare ad un traguardo che non ho mai raggiunto, quindi oltre la B2: le premesse sembra che ci siano e in cinque o sei anni si dovrebbe centrare l’obiettivo. In questo momento, mi limito a dare qualche consiglio, sperando che il progetto abbia successo. Se dovesse fallire pure questo tentativo, non saprei più che fare! Fossi stato miliardario…»

Perché a Catania non si sta riuscendo a fare pallacanestro ad alto livello?

«A Catania serve qualcosa che faccia crescere la cultura del basket: ce n’è ben poca. Non c’è nulla ad alto livello anche perché non ci sono tanti appassionati. Alla fine, i ragazzi vogliono andarsene perché qui non vedono il futuro: ne abbiamo recentemente ceduti due a Reggio Emilia e uno a Rimini. Inoltre, manca la mentalità imprenditoriale e nessuno si è mai avvicinato alle società con idee serie, si è andati avanti a strappi: un anno con lo sponsor e poi il crollo. Ci si basa sempre sul volontariato.»

Anche ai tempi della Torre Tabita Catania era così?

«In quel caso non furono messi tanti soldi. Lo sponsor garantì per un solo anno, senza creare le basi: nacque dal nulla e finì subito. Nel 1997, quando ero ancora io l’allenatore, si avvicinò un imprenditore di Barcellona, presidente dell’INA Assitalia locale, che aveva portato la Cestistica fino in Serie A2 e voleva ripetere la stessa cosa qui. Al primo anno non riuscimmo a salire, al secondo, con Laneri, in panchina fummo promossi. In B2, però, mi lasciarono solo con Michelangelo Sangiorgio e Massimo Calafiore e senza soldi: affrontare così il campionato fu un’impresa, trovammo i fondi qui e lì e riuscimmo a giocare comunque con grossi problemi.»

Prima di allenare, dove giocava?

Gaetano Russo

«Ho iniziato a 13 anni con lo Sport Club, allenato dall’attuale tecnico del Gad, Pippo Borzì. La passione nacque grazie ai miei compagni, con cui rimasi per un paio d’anni nel centro d’addestramento. Poi nel 1975 andai al Gad Etna. Dopo due campionati giovanili con Molino e Maugeri, esordii in Serie D, che allora era la quarta serie, come playmaker. A 18 anni feci il primo corso d’allenatore ad Arcinazzo Romano.»

Perché così presto?

«Mi spinse Camillo Sgroi, l’unico tecnico che a quei tempi riuscì a portare una squadra giovanile alle finali nazionali. A Catania non c’era una “scuola” di allenatori e ho cominciato precoce proprio perché c’era poca gente che si appassionava. Agli inizi, capitava che allenavo anche trentenni quando io ne avevo molti di meno…»

Quali furono le sue prime esperienze?

«Partii dalle giovanili del Gad Etna, il cui presidente era Totò Trovato. A 21 anni esordii in Serie C1, in una trasferta a Lecce: dovevo sostituire solo per quella partita Enzo Molino. Nel 1984, a 24 anni, già allenavo in C2: quell’anno la società era senza soldi e scese in campo con una formazione di ragazzi nati tra il 1966 e il 1967. Così, perdemmo tutte le partite. Però, con la stessa squadra, vincemmo il titolo regionale juniores!»

Per quanto tempo rimase con il Gad Etna?

«Per un’altra stagione fui primo allenatore, in Serie D, poi mi sostituì Strazzeri che lo riportò in Serie C. Proseguii portando avanti un gruppo di ragazzi nati dopo il 1972. Tra gli altri avevo Alberto Di Mauro, che andò alla Viola Reggio Calabria, e Politano, che andò alla Glaxo Verona: furono pagati ben 200 milioni di lire! Gad e Cus lavoravano in sinergia, quindi quando iniziai a lavorare come direttore degli impianti del centro universitario mi divisi tra le due squadre. Allenai anche per un biennio in Serie D l’Acireale, a cui furono prestati i ragazzi del ‘72-‘73 dal Gad Etna.»

Qual era la situazione al Cus?

«Dopo alcuni anni in cui si era fermata l’attività di vertice, si ripartì nel 1990 dalla Promozione; nel 1994 conquistammo la Serie C1. Io ero nell’entourage ma non allenavo la prima squadra. Intanto, il Gad Etna ebbe qualche problema, Trovato passò la mano a Puleo e Martino, genitori degli omonimi giocatori, che dovettero rinunciare a causa della morte del secondo. Finì così anche la società.»

Ripartì dalla Serie C1 del Cus, quindi.

«Sì. I ragazzi che arrivarono in C1 e che poi allenai dal 1994 al 1998 erano tutti elementi locali; avevamo costruito la squadra con le nostre forze, trovando i fondi da noi. Un intero campionato costava intorno agli 80 milioni di lire e senza entrate è difficili trovarli. Solo dopo tre campionati arrivò lo sponsor. Portò alcuni ex giocatori di Serie A, come Giampiero Corlito e Mario Porto. Erano cotti, però, e fummo anche sfortunati: perdemmo la finale dei play-off con un tiro da metà campo. A quel punto, litigai con la proprietà e lasciai la prima squadra.»

Quando tornò si ritrovò in Serie B2. Come andò?

«Mi richiamarono dopo la promozione. Io, Sangiorgio e Calafiore rimanemmo soli. Ci legammo al nuovo Gad Etna e riuscimmo a portare qualcuno da fuori: contavamo su una squadra discreta. La B2, però, era un altro mondo: le squadre avversarie viaggiavano con gruppi grandissimi, noi eravamo dodici o tredici ogni partita… Era un massacro dal punto di vista dell’impegno: allenamenti tutte le sere e tre volte di mattina, senza prendere un centesimo. In campionato, però, andavamo a corrente alternata, e la proprietà si lamentava. Avevano in casa un tecnico professionista, Zacevic, a cui, a quel punto, preferii lasciare la panchina.»

Dopo dove andò?

«Il Cus retrocesse la stagione successiva e cedette infine il titolo a Cefalù. Io fui chiamato da Natale De Fino a Gravina, che portai in Serie C1. Ho smesso di allenare ad alto livello proprio perché l’ultima stagione allo Sport Club mi ha lasciato l’amaro in bocca: salvare la squadra è stata un’impresa e tutto questo è stato vanificato dai problemi economici, che hanno costretto alla rinuncia alla C1. Ho deciso così di tornare ad allenare i giovani, che è sempre stata la mia passione.»

Qual è la squadra che le è rimasta nel cuore?

«Il Cus del 1994-95, quello che si basava solo sui giovani locali, così come stiamo facendo ora con il nuovo progetto del Gad Etna. Oggi sono quasi tutti laureati. È sempre una soddisfazione quando vengono a trovarmi, anche perché alcuni dei loro figli li seguo io nelle giovanili del Cus!»

Una partita che ricorda con più emozione?

«Sicuramente quando giocammo a Pesaro, nel campo della Scavolini. Un’altra volta incontrammo Paolo Di Fonzo, che aveva vinto Coppa Korać con la Virtus Roma, e lo battemmo in trasferta per 82-67: prendeva 200 milioni, era un motivo d’orgoglio per l’intera squadra che aveva mille problemi economici. Anche i derby in Serie D, al PalaSpedini, erano fantastici: il palazzetto era sempre pieno.»

Perché oggi il PalaGalermo non si riempie così facilmente?

«Una volta il PalaSpedini era il fulcro dell’attività sportiva a Catania: chi voleva venire a vedere lo sport in città sapeva dove andare. I 1500 posti a sedere si riempivano sempre. Oggi tutti gli impianti sono sparsi, quindi non c’è un polo unico che attrae gli spettatori.»

Si è mai interessato all’attività femminile?

«Ho preferito tenermi lontano: a 18 anni ho avuto la mia unica esperienza, allo Spedalieri con la professoressa Ferrullo. È molto difficile allenare le ragazze: spesso sono gelose fra loro; se poi si innamorano dell’allenatore…»

 

Roberto Quartarone

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