Europei di basket: Budapest ’55 e Sofia ’57
Il ricordo di … Sandro Gamba

Il campione in campo e in panchina ricorda i due campionati Europei che ha disputato negli anni cinquanta…

Sandro Gamba è nato a Milano, il 3 giugno del 1932. Il suo primo contatto con il basket avvenne a 13 anni, e fu un destino avverso a procurarlo: colpito involontariamente da un proiettile mentre giocava a pallone per strada (25 aprile ’45, scontri tra partigiani e fascisti), ne uscì con una mano malconcia, e un ufficiale americano gli suggerì – vedendolo poi col braccio al collo – che la maniera migliore per riacquistarne l’uso era di prendere proprio un pallone da basket (quello americano però!), sentirne la superficie ruvida al tatto, poi schiaffeggiarlo, quindi provare a palleggiare… A 19 anni conquistava lo scudetto con l’Olimpia Borletti Milano, il primo di una lunga serie di dieci quasi consecutivi (dal ’53 al ’60, l’epopea di Cesare Rubini allenatore e delle “scarpette rosse”). In Nazionale fece il suo ingresso già nel ’51 con Van Zandt (una rappresentativa giovanile); poi fu Tracuzzi a inserirlo nella rosa della prima squadra, ma la prima partecipazione a una manifestazione ufficiale avvenne con McGregor (Europei del ’55 a Budapest, seguiti il mese dopo dai Giochi del Mediterraneo di Barcellona); con Paratore, infine, disputò in maglia azzurra gli Europei del ’57 a Sofia e, da capitano, le Olimpiadi del ’60 a Roma. Chiuse la carriera di giocatore con la seconda squadra di Milano, All’Onestà; due campionati, fino al ’65, stesso anno in cui ha iniziato la sua lunga militanza da allenatore, di club e di Nazionale.

Sandro Gamba in una foto d’epoca formato-cartellino.

“Sì, l’Europeo di Budapest ’55 fu praticamente la mia prima uscita ufficiale con la Nazionale maggiore. Per la verità Tracuzzi mi aveva inserito nel gruppo che era in preparazione per le Olimpiadi di Helsinki ’52, ma all’ultimo momento due dovevano restare a casa, e uno di questi risultò il sottoscritto: forse ero ancora troppo giovane per quella esperienza. L’anno dopo, invece, fui io a rinunciare alla chiamata del Trac per l’Europeo di Mosca: lo feci per motivi di lavoro, ero disegnatore tecnico alla Borletti (la fabbrica milanese di strumenti meccanici che sponsorizzava la squadra in cui militava, n.d.r.), e davvero non potevo permettermi di abbandonarla per un tempo così lungo. E così, la prima occasione buona venne con McGregor, nel ’55…”.

“C’era una atmosfera da grande tempio dello sport, al Nepstadion di Budapest. Ricordo che quando arrivammo per disputare la prima partita, scegliemmo subito di occupare lo spogliatoio della mitica squadra di calcio della Honved, dove trovammo addirittura le poltrone imbottite e altre sciccherie che noi neanche ci sognavamo… Tra l’altro, durante il campionato furono rimossi i tavoloni del campo di basket per dare spazio proprio a una partita della Honved (contro una rappresentativa straniera, mi pare): fu uno spettacolo, era una squadra davvero imbattibile, e quella volta addirittura il grande Puskas, dopo avere deliziato con le sue giocate, andò anche a sostituire il portiere infortunato, esibendosi in qualche bella parata…”.

I due “Sandro” della Nazionale, Gamba e Riminucci, si abbracciano al termine di una partita vittoriosa.

“Il ricordo più bello di Budapest, comunque, ce lo siamo guadagnato noi con il nostro comportamento in campo. Il sesto posto era davvero il massimo che si poteva chiedere alla nostra squadra, peraltro priva di molti titolari. McGregor ci aveva insegnato cose nuove nel gioco di squadra in attacco (il dai e cambia, per esempio), ma soprattutto ci aveva inculcato il pressing difensivo: se siamo stati in grado di battere la Romania e la Jugoslavia, e di perdere di appena 6 punti con l’Unione Sovietica (concedendogliene solo 54, n.d.r.), lo si deve soprattutto alla nostra aggressività in difesa… «Dentro i dinamini», gridava a un certo punto McGregor: metteva dentro tutte le guardie, per imbrigliare avversari più alti e più grossi di noi, e la mossa risultava quasi sempre vincente… Comunque anche i giovani lunghi (i big boys, come li chiamava lui) se la cavarono bene…”

 

Una delle prime Nazionali di McGregor (ultimo in piedi a destra), in preparazione agli Europei del ’55. Gamba gli è a fianco; poi procedendo verso sinistra, Motto, Costanzo, Macoratti, Gambini, Paoletti, l’allenatore in seconda Zar; accosciati, da sinistra, Cappelleti, Canna, Posar, Lucev, Sarti, Sardagna.

“Nel ’57 a Sofia fu tutta un’altra storia. Si era da poco iniziata l’era di Paratore, e il nuovo allenatore era ancora impegnato in una fase preliminare di reclutamento e di studio per preparare le Olimpiadi di Roma. Mi ritrovai in squadra con parecchi ragazzi debuttanti, anche perché ci furono molte rinunce, alcune giustificate, altre (possiamo dirlo) per il semplice fatto che la capitale bulgara non costituiva proprio una attrazione turistica!”.

“Insomma, ci fu un po’ di improvvisazione, e alla fine non riuscimmo ad evitare un misero decimo posto. O meglio, potevamo evitarlo, se nella partita contro la Francia non ci avessero derubato di due punti. Ricordo bene quell’episodio, perché ero in campo: canestro per noi su azione, la loro panchina chiama minuto di sospensione (allora si poteva fare), e fui io il primo ad accorgermi che non ci era stato assegnato sul tabellone… Proteste, confusione, nulla da fare! Vincendo quella partita ci qualificavamo, e saremmo arrivati quanto meno ottavi; più in alto non credo, perché le sette formazioni dell’Est erano davvero forti quell’anno…”.

Gamba in azione, con la maglia dell’Olimpia Milano (qui targata Simmenthal), con cui vinse dieci scudetti.

“La più forte si rivelò senz’altro l’Unione Sovietica, che si era molto rinnovata dopo la delusione di Budapest: spuntarono fuoriclasse come il centro Zubkov, il play Minashvili, la guardia Muiznieks… Però anche Bulgaria e Cecoslovacchia erano degli squadroni, e le diedero molto filo da torcere…”.

“Quello di Sofia fu il mio secondo e ultimo Europeo da giocatore. Dopo avere a malincuore rinunciato a Mosca ’53, dovetti poi dare forfait a Istanbul ’59: mi ero infortunato a un ginocchio, e non me la sentii proprio di rischiare… Grazie a Paratore comunque, che non mi fece mancare la sua fiducia, potei partecipare alle Olimpiadi di Roma ’60, ed ebbi così la possibilità di vivere uno dei momenti più esaltanti del basket italiano, chiudendo in bellezza la mia parentesi in maglia azzurra …”.

E poi riaprendone una più lunga, e più ricca di successi, da allenatore della stessa Nazionale. La storia continua…

a cura di

Nunzio Spina

 

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