Mondiali: Manila ’78
Il racconto di… Pierluigi Marzorati

Manifestazione riuscita… L’inseguimento al bronzo… Grandi giocatori, da Mu Tiezhu a Tkachenko… Un’altra esperienza, otto anni dopo…

Pierluigi Marzorati è nato Figino Serenza (in provincia di Como) il 12 settembre 1952. Ha vestito la maglia azzurra della Nazionale maggiore per ben quindici anni, dal ’71 all’86, raggiungendo un primato di presenze (278) che appare ormai imbattibile. Si contano sette Campionati Europei, quattro Olimpiadi e due Mondiali (Manila ’78 e Madrid ’86), attraversando tre epoche di allenatori: Primo, Gamba e Bianchini. Del play-maker modello possedeva tutte le doti: velocità, controllo di palla, visione di gioco, tiro in sospensione; il contropiede era la sua arma preferita per trovare il canestro, con conclusioni da sotto in acrobazia o con assist imprevedibili. Lunghissima la sua carriera di club, vissuta solo ed esclusivamente con la Pallacanestro Cantù, dall’età di 17 anni fin quasi alla soglia dei 40. Nella serie dei successi ottenuti con Cantù si annoverano due scudetti, due volte la Coppa dei Campioni, quattro la Coppa Korac, quattro la Coppa delle Coppe, due la Coppa Intercontinentale. Dal 2007 il suo nome è stato inserito nella FIBA Hall of Fame, seguito tre anni dopo solo da quello di Dino Meneghin.

Mondiale di Manila: Italia-Jugoslavia. Tiro in sospensione di Pierluigi Marzorati, invano contrastato dal play avversario Zoran Slavnic (da “Giganti del Basket, n° 10, 1978”).

«La prima cosa che mi viene in mente del Mondiale del ’78 è la forte umidità che abbiamo trovato a Manila: un tasso del 96%, aria quasi irrespirabile… Forse si è trattato dell’unico aspetto negativo di una manifestazione che, per il resto, è stata riuscitissima, sotto tutti i punti di vista. Nelle Filippine il basket è molto popolare, vedevamo ragazzi giocare all’aperto da ogni parte; e poi c’era addirittura un campionato professionistico che attirava molto pubblico, come quello che ha affollato le tribune nelle partite di quel torneo… Organizzazione perfetta e accoglienza eccezionale, con le immancabili corone di fiori messeci al collo al nostro arrivo…»

«Per me si trattava del primo Mondiale, anche se in Nazionale c’ero già da sette anni e avevo disputato quattro Europei e due Olimpiadi… Inseguivamo la medaglia di bronzo, inutile negarlo, quella che era sfuggita a Lubiana nel ’70; Giancarlo Primo guidava una squadra che da tempo sapeva farsi rispettare in campo internazionale, ed era sempre là nelle prime cinque posizioni. Diciamo pure che eravamo abituati bene, ed era lecito quindi puntare al podio… L’impresa non è riuscita per il famoso canestro del Brasile all’ultimo secondo, con un tiro da metà campo; un verdetto amaro, che per noi si era ripetuto più volte negli ultimi anni, ma dobbiamo essere onesti, e ammettere che le partite di basket si possono vincere e perdere così…»

«Ovviamente, siamo tornati a casa dispiaciuti, e per molti è stato facile cancellare tutto ciò che di buono avevamo fatto per arrivare a quella finale per il bronzo… In fin dei conti, a precederci nella classifica sono state Jugoslavia e URSS, squadre che erano proprio fuori dalla nostra portata, e poi lo stesso Brasile, nella maniera in cui sappiamo… Alla fine quarto posto, davanti agli Stati Uniti, al Canada e all’Australia, tutte avversarie da noi battute: insomma, non proprio un risultato deludente, eravamo sempre là, tra le prime…»

Marzorati tenta l’impresa di contrastare sotto canestro il gigante sovietico Tkachenko, nella partita tra Italia e URSS, a Manila; assistono all’azione Ferracini e Salnikov (da “Giganti del Basket, n° 10, 1978”).

«Di grandi giocatori ce n’erano tanti, a Manila. Intanto ricordo quelli grandi e grossi, come il gigante cinese Mu Tiezhu, che se non sbaglio era alto sui 2 e 30, e aveva due mani mostruose, afferrava il pallone come se fosse una pallina da tennis; e poi c’era quello sovietico, Tkachenko, qualche centimetro più basso, ma direi molto più produttivo nel gioco… Di veri fuoriclasse era piena la Jugoslavia, soprattutto tra gli esterni, da Dalipagic, a Kicanovic, a Slavnic, tutta gente che avremmo presto rivisto nel nostro campionato; così come avremmo rivisto i brasiliani Oscar e Marcel, che ci avevano punito con i loro canestri… Noi comunque siamo stati all’altezza, abbiamo messo in campo la nostra compattezza di squadra, quella che aveva sempre cercato e voluto Giancarlo Primo; da questo punto di vista la Nazionale sembrava una formazione di club, con metodi di gioco ben precisi, ai quali ognuno doveva adeguarsi… A me per esempio i princìpi fondamentali della difesa aggressiva e del contropiede andavano proprio a meraviglia (quarto miglior realizzatore dell’Italia a Manila, n.d.r.)…»

«Di Mondiali ne avrei disputato un altro, otto anni dopo, in Spagna. Avevo vissuto tutta l’era di Gamba, conquistando tre medaglie tra Europei e Olimpiade, e mi ritrovavo con Valerio Bianchini al suo esordio sulla panchina azzurra, che avevo avuto da allenatore già a Cantù … Anche quella per me è stata una edizione memorabile, nonostante avessi ormai 34 anni… Siamo arrivati sesti, ma davanti stavolta c’era una formazione USA molto forte (che infatti vinse l’oro) e l’emergente Spagna, oltre ai soliti Jugoslavia, URSS e Brasile… Fu quella l’ultima mia apparizione in Nazionale, e posso dire che si è trattato di un bel congedo…»

 

 

a cura di

Nunzio Spina

 

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