«Il mio ricordo degli Europei è più per quelli che non ho disputato»… Le Olimpiadi di Roma e Tokyo…
Gianfranco Pieri, nato a Trieste il 6 febbraio del 1937, cominciò a giocare a basket nella sua città, e con la Ginnastica Triestina vinse un titolo juniores, esordendo poi nella massima serie a 17 anni. Fino ad allora, alto 1,92, giocava nel ruolo di pivot. Rubini lo volle a Milano e lo trasformò addirittura in play-maker. In questo ruolo fu uno dei protagonisti dei nove scudetti (quasi consecutivi) conquistati dall’Olimpia tra il ’65 e il ’78. In Nazionale lo convocò per la prima volta Paratore nel ’55, e con lui in panchina disputò due Olimpiadi e un Europeo. Lo chiamavano “il Professore” un po’ per l’autorità con cui guidava la squadra, un po’ per l’aspetto che gli davano gli occhiali che portava anche sul campo.
“Il mio ricordo degli Europei è più per quelli che non ho disputato… Ho vestito la maglia della Nazionale per quasi un decennio, ho avuto l’onore e la fortuna di vivere le belle esperienze delle Olimpiadi di Roma ’60 e di Tokyo ’64, ma di campionati europei, per vari motivi, ne ho giocati solo uno, quello di Istanbul ’59, e con quel decimo posto rimediato non andò per niente bene…”
“Avevo esordito in Nazionale già nel ’55, proprio nel giorno del mio diciottesimo compleanno, con Paratore in panchina, che in quel tempo stava sostituendo Mc Gregor. Per gli Europei di quell’anno ero ancora troppo giovane, ma in quelli del ’57 a Sofia avrei potuto esserci tranquillamente, così come in quelli del ’63 a Wroclaw… Almeno per uno di questi, se non per entrambi, fui io stesso a rinunciare alla chiamata di Paratore (con cui peraltro c’era una stima reciproca) per motivi di lavoro: a Milano esercitavo la professione di commercialista, alla quale non potevo concedere interruzioni così a cuor leggero…”.
“Un’altra occasione poteva essere l’Europeo del ’61 a Belgrado, quando eravamo reduci dal brillante quarto posto di Roma ’60. Sinceramente non so bene il motivo per cui la nostra federazione decise di rinunciare… Chissà, avremmo potuto prolungare il nostro momento magico, ma ci sarebbe toccato confermare di essere i secondi del nostro continente, impresa non facile proprio in Jugoslavia…”
“Non mi resta che il ricordo di Istanbul ‘59, con quel campo all’aperto su un tavolato in legno quanto mai scivoloso, e quella partita con la Francia, che ci costò la qualificazione al gruppo delle migliori otto… Era una specie di spareggio, e ne uscimmo sconfitti negli ultimi secondi… Con quella formula dei quattro gironi, e con l’Unione Sovietica inserita nel nostro, avremmo senz’altro avuto bisogno di un pizzico di fortuna in più…”.
a cura di
Nunzio Spina
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