Nunzio Spina, il play del migliore Sport Club

Dal parquet alla macchina da scrivere, Nunzio Spina ha conosciuto profondamente la pallacanestro catanese degli anni settanta e ottanta. Il giovane playmaker riuscì ad essere protagonista delle ultime annate dello Sport Club in Serie C e in una delle stagioni più importanti della storia del Gad Etna, avendo anche il privilegio di poter raccontare molte delle imprese delle squadre maschili e femminili sulle pagine de “La Sicilia”. Da anni si è trasferito per lavoro al Nord Italia, però non ha dimenticato nulla della sua esperienza nel basket catanese. «Si potrebbe scrivere un libro di tutti i ricordi – spiega. – In campo e fuori sono successi tanti di quegli episodi che è difficile anche sceglierne qualcuno da riportare…»

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PLAYMAKER. Nunzio Spina, 51 anni, ha giocato vari anni con lo Sport Club Catania in Serie C [Basket Sud].

Ad esempio?
«Ricordo con un po’ di tenerezza Bicchierai, che era una persona con qualche problema fisico e mentale, ma in fondo un bonaccione, ed era l’unico nell’ambiente che avesse il coraggio di tifare (indistintamente) per tutte le squadre catanesi. Incuteva timore agli avversari, ruggendo contro l’allenatore, ad esempio. Mi sono sempre chiesto perché gli avessero dato quel soprannome… Poi, Pippo Famoso soprannominò Nicola Cassisi “Ciù En-lai”, perché somigliava al politico cinese, e quindi per tutti divenne “Ciulla” (con un evidente doppio senso…), tanto che al palazzetto qualcuno cantò un coro per lui e il fratello Angelo venne chiamato di riflesso “Ciullù”. Oppure, una volta giocammo contro una squadra di sordomuti: Santi Puglisi ci presentò l’avversario come invincibile (questa era una sua grande capacità) e noi andammo subito sotto per 4-0… Lui chiamò minuto e ci fece un cazziatone…»

Quando ha iniziato a giocare a pallacanestro?
«Nel 1969. Allora il basket era assente dalla mia mente perché volevo giocare a calcio. Un giorno però venne a casa mio zio Angelo Casabianca per parlare con me e mio fratello. Lo zio era stato dirigente della Grifone che aveva disputato la Serie A e uno dei suoi giocatori, Santi Puglisi, era diventato allenatore. Ci propose così di allenarci nella sua squadra. Mi andò bene, perché già nel 1970 feci le finali nazionali dei giochi della gioventù. Vi partecipò la rappresentativa catanese in cui giocavano anche Valerio Cosentino, Giusy Laneri, Enzo Privitera e altri ragazzi (come Foti, Volcan e Pennisi del San Luigi Acireale). Doveva allenarci Puglisi, ma la prima non poté esserci e lo sostituì Elio Alberti. Vincemmo di un punto contro Arezzo e fu una partita indimenticabile… Concludemmo al tredicesimo posto e ricordo tutto benissimo anche perché fu la mia unica finale nazionale.»

 

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TREDICESIMI IN ITALIA. Schierata alla Plaia, la selezione catanese che ha partecipato ai giochi della gioventù del 1970, 13a assoluta alle nazionali. In piedi Cosentino, Foti, Puglisi, Bonforte, Tringale, Privitera; accosciati Volcan, Laneri, Spina, Pennisi e Caruso [N.Spina].

Ma era quella la migliore formazione giovanile catanese dell’epoca?
«No, i più forti furono gli juniores dello Sport Club di Pippo Borzì e Luciano Cosentino: ambivamo alla finale nazionale. Dopo aver vinto il girone di zona, accedemmo come favoriti al concentramento di Palermo. Sfortunatamente incontrammo la Virtus Ragusa di Ninni Gebbia, che ci eliminò e, a sua volta, venne poi eliminata dalla Viola Reggio Calabria. Non avevamo grosse difficoltà a superare i gironi provinciali e zonali, ma contro le altre squadre siciliane era sempre difficile. Peccato perché in quel periodo era più facile accedere alle nazionali: vi venivano ammesse le vincenti della zona siculo-calabra, mentre oggi il regolamento è più restrittivo

Quando è entrato nella squadra senior?
«Ho esordito in prima squadra durante il secondo anno di Elio Alberti, quasi nell’immediato post Puglisi. Lui era andato via nel 1973, io avrei dovuto esordire già nel primo campionato di Alberti. Quella era una squadra che poteva ambire alla promozione, in casa macinava gli avversari ma in trasferta le prendeva e tutti davano la colpa al nuovo allenatore che non sembrava all’altezza. Mi convocò all’ultima giornata e mi ricordo che Giuseppe Mineo mi prendeva un po’ in giro perché ero emozionato. Io mi cambiai ed ero pronto per il riscaldamento, ma il dirigente Beppe Fassari mi fermò e mi disse che mancava il cartellino… Fui sostituito da Giacomo Vitale… Ci sono rimasto così male! Mi sono rifatto nel campionato successivo, quando ho giocato sin dalla prima partita contro Palermo.»

 

gamba e puglisi

GIORNALISTA. Nunzio Spina (a destra) intervista Sandro Gamba (a sinistra) e Santi Puglisi, rispettivamente commissario tecnico e assistente della Nazionale italiana [N.Spina].

In Serie B, quindi?
«Sì, quell’anno ci fu una riforma dei campionati, un rimescolamento in cui si guardavano il valore della squadra e la grandezza della città. Eravamo favoriti per la grandezza di Catania e per il palazzetto di piazza Spedini, un gioiellino che altre città non avevano. Ci siamo così ritrovati in Serie B, che era strutturata su tre fasi. Noi, però, non eravamo all’altezza. Siamo retrocessi in una Poule con due trasferte in Sardegna e inevitabilmente siamo ridiscesi nella Serie C unica. Poi abbiamo disputato tre campionati di Serie C e alla fine Alberti non ce l’ha fatta più a mantenere la squadra. Nel 1978 i dirigenti dello Sport Club ottennero dal comitato regionale la retrocessione in Serie D, che fu concessa malgrado non fosse solitamente possibile. Rimasi un altro anno con loro, poi mi cercò lo Jäger.»

Com’è andata la sua esperienza con il Gad Etna?
«Molino mi stimava e prese in prestito dallo Sport Club me e Valerio Cavaletti e dalla Virtus Ragusa Giovanni Battaglia, studente in medicina e poi assessore. Loro due, però, diedero forfait. È una squadra che ricordo con piacere, giovane e con entusiasmo. Avevamo in mano la promozione e contavamo su giocatori come Gianni Messina, che era un autentico gladiatore e metteva in campo una grinta pazzesca; Enzo Privitera, con cui mi alternavo come playmaker; Santino La Fauci, un buon giocatore arrivato tardi ad alti livelli; e ovviamente Angelo Destasio, il migliore cestista catanese.»

 

Sport Club 1978

ULTIMO ANNO. Ultimo anno in Serie C per lo Sport Club di Elio Alberti, nel 1977-78. In piedi Alberti, Virgillito, Cervino, Cavaletti, Tortora, Cosentino; accosciati Laneri, Cipolli, Spina, Cassisi, Famoso [N.Spina].

Come ha chiuso la sua carriera nel basket?
«Dopo l’anno allo Jägermeister ho smesso di giocare ad alto livello. Per divertirmi, ho passato una stagione con il Cus Catania in Promozione e infine a Santa Maria di Licodia, dove ho ritrovato l’entusiasmo, in Serie D. Nel 1982 sono andato via da Catania, verso Milano e poi a Porto San Pietro. Mia moglie, Antonella Sirianni è invece rimasta a Catania per altri cinque anni. Lei ha vissuto in prima persona la finale spareggio per la Serie A2 con la CSTL Basket Catania. Quella partita contro Catanzaro si è giocata dopo una grande illusione del presidente, che pensava che la squadra fosse stata promossa per differenza canestri. Io ero andato a vederla, poi il lunedì ero ritornato a Bergamo e la sera stessa mi chiamò Antonella per dirmi dello spareggio a Santa Marinella… Fu una partita “drammatica”: a tempo scaduto, due punti sopra Catania, ma con cinque giocatrici fuori per cinque falli, Catanzaro ebbe due tiri liberi a disposizione per andare al supplementare: sbagliò il secondo… Fu come essere promossi una seconda volta!»

Qual è stata la migliore squadra in cui ha giocato?
«Con lo Jäger nel 1979-80 ho vissuto una stagione in cui eravamo molto vicini alla promozione in Serie B. Eravamo carichi ed entusiasti, ma ci è mancata la fortuna. Enzo Molino è stato un ottimo allenatore, so che si è ritirato dall’ambiente. È molto umile ed è stato forse un po’ in ombra, soprattutto quando era secondo di Trovato.»

 

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DEBUTTANTE. Un giovanissimo Nunzio Spina al debutto in Serie B contro Palermo [N.Spina].

E il miglior giocatore catanese di basket?
«A Catania abbiamo avuto tanti talenti inespressi che hanno avuto poca fortuna. A parte Pippo Famoso, un cestista molto estroso ma non completo, Diomede Tortora, che è stato un grande giocatore ma che faceva parte del vecchio basket, dato che segnava tirando al tabellone dall’angolo, e Orazio Strazzeri, che si è perso nelle langhe di Brughiero, il più completo è stato Destasio. Tutti eravamo mezzi giocatori, lui invece è stato il primo giocatore moderno. Aveva un fisico eccezionale ed era un ottimo atleta. Potenzialmente poteva essere grandissimo. Andò a Rieti in comproprietà con la Virtus Bologna, fece la Coppa Korać con Willie Soujourner che l’aveva preso in simpatia. Si mise in luce, ma si ruppe il ginocchio e la sua carriera finì. Tutti gli altri non sono riusciti ad esprimersi. In generale, il nostro prodotto migliore è rimasto comunque Santi Puglisi.»

Segue ancora in prima persona la pallacanestro?
«Mia moglie Antonella mi ha dato tre figli: Giulia di 18 anni nata a Porto San Pietro, Paola di 14, nata ad Aosta, e poi Francesco di 4 anni, nato a Macerata. Nel mio girovagare abbiamo fatto tanti figli! Giulia è nel mondo del basket come giocatrice.»

Segue anche la Virauto Catania?
«Sì, perchè mi arriva in abbonamento La Sicilia tutti i lunedì e anche perchè sono un appassionato lettore del vostro Magazine: faccio il tifo ovviamente, anche perchè a guidarla è il mio vecchio compagno di squadra Pippo Borzì. Spero che la cosa possa durare e che si possa costruire qualcosa di solido: a Catania sembra un’impresa impossibile, lo è sempre stato!»

 

Gad Etna 1979-80

VICINISSIMI ALLA B. Lo Jäger 1979-80, vicinissimo alla promozione in Serie B [E.Privitera].

Com’è cambiata la pallacanestro dagli anni settanta-ottanta ad oggi?
«Qui c’è una squadra di Serie C2 e posso notare che oggi ci sono delle potenzialità fisico-atletiche superiori. Un giocatore come me di 173 o 175 cm non avrebbe tante possibilità. Mancano un po’ più di astuzia, l’intelligenza di gioco, la ricerca degli schemi. Il tiro da tre in corsa secondo me è inaccettabile, forse i tre punti hanno rovinato un po’ il basket. Così, se sei in giornata vinci, se non sei in giornata perdi; una volta c’erano più soluzioni di gioco e quindi poteva vincere anche chi non era al 100%. Mi ricordo che i fondamentali insegnati da Santi Puglisi rimanevano indelebili: la partenza in palleggio, la partenza incrociata; lui curava l’uomo nei dettagli. Così come Enzo Molino, che ad esempio teneva La Fauci mezzora sotto il canestro. Ora non seguo gli allenamenti, ma una volta c’era più tecnica individuale e nel gioco di squadra. Oggi c’è più spettacolarità, a cominciare dalle schiacciate nel riscaldamento, che per noi erano un evento eccezionale tanto da guardare con gli occhi sgranati Destasio quando ci riusciva.»

Il migliore allenatore che hai mai avuto?
«Dal 1969 al 1973 ho avuto Puglisi nelle giovanili, ma sono molto legato ad Alberti perché lui mi ha lanciato letteralmente in campo e gliene sono grato. Poi ero il suo pupillo e lui lo dichiarava! Tutti, però, sapevano benissimo che da un punto di vista tecnico si sentiva la mancanza di Puglisi. Sono arrivato in prima squadra perché ero un playmaker veloce che organizzava bene la squadra, ma avevo delle pecche tecniche soprattutto nel tiro da fuori, ero un mezzo giocatore. La partenza di Puglisi ha ovviamente influito nella mia crescita.»

 

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RIPARTENZA. Lo Sport Club 1978-79, ripartito dalla Serie D [N.Spina].

La sua partenza ha influito anche sull’evoluzione della pallacanestro catanese?
«Sì, perché non c’era nessuno dopo di lui. Puglisi è stato, con tutto rispetto per Trovato, quello che ha iniziato un’era basata sulla tecnica, mentre fino ad allora si era andati avanti in altro modo. Avrebbe potuto creare una scuola di allenatori e lui stesso disse “Sto andando via nel momento in cui posso raccogliere i frutti”. Le sue vere creature erano Strazzeri, Borzì e Cosentino, con cui voleva creare la nuova era dello Sport Club. Non c’erano tecnici al suo livello. Rimasero Molino, che lo stimava, Alberti, con cui tutti ce l’avevano anche se fu merito suo se lo Sport Club si salvò, altrimenti sarebbe finita lì, e Trovato, che non era un istruttore. Puglisi partiva dal minibasket e finiva con la prima squadra. Trovato aveva solo la prima squadra e ottenne grandi successi proprio perché contava su uno squadrone. Quando andò via Puglisi si restò in un momento di crisi.»

Cosa ne pensa del dualismo che c’era tra Sport Club e Gad Etna?
«Nel 1977-78, credo che avere due squadre creò tanto entusiasmo e competizione. Il Gad, dopo essersi salvato dalla Serie B, era ripartito dalla Serie D e con tanta umiltà ed impegno ci aveva raggiunto, così come noi avevamo fatto con loro. Volevano dimostrare la loro superiorità, noi quasi eravamo invidiosi del loro momento buono. Noi eravamo a terra dopo le prime tre sconfitte, loro ne avevano vinte tre: alla quarta, però, fummo noi a vincere il derby. La competizione aveva creato anche due opposte tifoserie. È stato l’anno in cui c’è stato più interesse, il palazzetto era pieno ma non eccessivamente. Anche a livello femminile c’erano due squadre, gemellate tacitamente con le maschili. E Il canestro etneo” uscì quell’anno…»

 

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TIFOSERIA. Uno dei derby tra Sport Club e Gad Etna visto dalla tribuna del PalaSpedini [G.D’Agata].

Cos’era?
«”Il canestro etneoera nato dall’esigenza di dare più spazio editoriale al basket catanese in una stagione in cui c’era un certo fermento, sia a livello maschile che femminile. Era lo spazio che mancava su “La Sicilia” (quotidiano dove peraltro io collaboravo), perchè là il raggio d’azione era più vasto (si doveva parlare, anche e soprattutto, di loro maestà Virtus Ragusa e Trogylos Priolo). L’idea era nata in casa Sport Club; la redazione era casa mia; il macchinario di produzione era rappresentato dalla mia Olivetti… Ci riunivamo il lunedì sera (approfittando della giornata di riposo dagli allenamenti): eravamo io, Claudio Sensi, Pippo Famoso, poi ricordo la collaborazione di Enrico Maugeri, di Franco Marletta, forse Giacomo Vitale e di altri. Fu Alberti a sostenerci in questa iniziativa: grazie a Mannisi (nostro ex presidente) riuscì ad ottenere la disponibilità della fotocopiatrice del Comune di Catania; il sabato mattina, io ed Elio, andavamo in piazza Duomo con la mia vespa: lasciavamo la copia battuta di notte con la mia Olivetti (quanti errori corretti a penna!) e poi tornavamo a ritirare tutto il blocco di fotocopie, previo il rilascio di una mancia. Il giornalino veniva poi distribuito (gratuitamente) al palazzetto di Piazza Spedini la domenica mattina, quando era di scena la partita delle ragazze (Polisportiva o CSTL). Un giorno i giornalini arrivarono a partita iniziata, tutti si immersero nella lettura e nessuno, per un bel po’, si curò più della partita… Ci divertivamo tantissimo, i primi tempi; poi la cosa diventò più grande di noi e, a malincuore, lasciammo perdere.»

Perché dalle quattro squadre non se ne crearono due molto competitive?
«Si parlò di fusione, ma non si unirono perché non sempre si riesce ad avere una somma algebrica. Il fatto che ci fossero due squadre comunque aveva riportato l’entusiasmo, anche se un po’ effimero, in quanto non si arrivò ad avere una squadra competitiva. La femminile diventò competitiva più in là, con Piero Dupplicato, il presidente che si buttava sempre in nuove avventure. Affidata ad un grande allenatore come Riccardo Cantone, la squadra era ambiziosa e contava sull’ex priolese Luana Squillaci, ad esempio. Poi quella promozione è stata tesaurizzata, le ragazze sono rimaste varie stagioni in Serie A2

 

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TERZO TEMPO. Tiro da sotto di Nunzio Spina contro Caltanissetta, nel 1976 [N.Spina].

Dicevi che anche il pubblico riempiva il palazzetto nei derby in quella stagione…
«Sì, ma non come per la partita dell’Ignis Varese… Penso che quella sia stata la punta più alta di tutta la storia! Anche perché in quel periodo seguivo anche la pallavolo e mi ricordo che in quell’occasione c’era più gente che durante le gare più importanti di volley. Non è vero quindi che a Catania il basket non è seguito: se si porta una squadra competitiva il palazzetto si riempie! Per il resto, il pubblico è sempre stato da salotto, dove si viene per stare in compagnia, senza un tifo vero e proprio, il giocatore riesce anche a sentire le battute sul proprio conto che vengono dalla tribuna. Magari in quel periodo c’era un tifo più acceso e lo Jäger aveva anche il primo tamburo…»

Con lo Sport Club ha giocato anche un torneo a Malta, giusto?
«Sì e, per quanto mi riguarda, è stata una piacevole “vacanza”, diciamo una tournèe affrontata con spirito goliardico. Il divario nei confronti delle squadre maltesi era notevole, e noi ci sentivamo un po’ come gli “stranieri” che potevano permettersi di dare spettacolo. Ricordo con piacere di avere avuto in quella occasione come compagno di stanza e di gioco Ninni Gebbia, il play ragusano che per me è stato sempre un giocatore di livello superiore e che, come avversario, ci ha sempre procurato dispiaceri. Diventammo amici! Il merito di quella bella esperienza fu tutto di Diomede Tortora che organizzò la trasferta anche per sue questioni di lavoro.»

 

Roberto Quartarone

3 commenti

  1. vorrei seguire le orme di mio zio Nunzio e gi a nove anni ho intrapreso il mini basket e spero di diventare un campione come zio Nunzio. Bravo zio!

  2. Pecche tecniche nel tiro da fuori? E allora quella volta a Caserta quando Famoso si incazzo’ tremendamente perche’ negli ultimi cinque minuti avevi fatto quattro su quattro da tre punti (prima che i tre punti esistessero), e lui, con le sopracciglia alzate fino ai capelli: “Ma che *@#$% sei! Potevi cominciare prima a tirare cosi!!”

  3. Sarebbe pi corretto scrivere “dal parquet alla macchina da scrivere alla sala operatoria”, visto che tra i vari passatempi di Nunzio Spina c’ anche quello di segare, inchiodare .. ecc E RIPARARE le ossa di malcapitati pazienti,e mettere PUNTI questa volta di sutura.
    in bocca al lupo per tutte le attivit Dr. Spina!!!

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