Gli Europei di Claudio Silvestri!

12 campionati Europei dal 1989 al 2013… «Controllavo meglio le emozioni dalla panchina, ecco le mie esperienze»….

Dodici campionati europei! Le presenze di Claudio Silvestri, team manager della Nazionale maschile, figura di riferimento nei quadri della FIP, hanno caratterizzato per un quarto di secolo la storia azzurra nella manifestazione continentale. Dodici Europei, dalla edizione del 1989 a quella del 2013, attraversando cinque epoche di commissari tecnici (Gamba, Messina, Tanjevic, Recalcati, Pianigiani), altrettante di presidenti federali (Vinci, Petrucci, Maifredi, Meneghin, Petrucci bis), e almeno dieci generazioni di giocatori. “Collaboratore prezioso e insostituibile, persona dalle grandi qualità professionali e morali” – sono parole di coach Recalcati – Silvestri ha rappresentato una continuità nell’ambito del settore Squadre Nazionali, col suo infaticabile lavoro di programmazione e di organizzazione, con la sua capacità di gestire i rapporti internazionali, oltre a quelli umani tra staff federale, giocatori e loro società di appartenenza.

Nato il 4 agosto 1949 a Gualdo Cattaneo, piccolo borgo rurale nel cuore dell’Umbra, in provincia di Perugia, Claudio Silvestri è praticamente cresciuto a Roma (dove si è trasferito con la famiglia all’età di 11 anni) e ha trovato nei locali della Federazione Italiana Pallacanestro la sua prima e definitiva residenza lavorativa. Vi mise piede nel ’74, come funzionario addetto al Comitato Nazionale Minibasket, per poi passare quattro anni dopo al Settore Squadre Nazionali (con incarichi sempre più alti, dalle giovanili fino alla Nazionale A maschile). Dal 2008 ha ricoperto anche il ruolo di vice segretario FIP. Nel dicembre del 2015 ha varcato la soglia della pensione, ma è sempre là a seguire con la passione di sempre le vicende del basket italiano, e ora si appresta a vivere – seppure da spettatore – il suo ennesimo Europeo maschile.

 

Claudio Silvestri, team manager della Nazionale, è stato presente in dodici edizioni dei campionati europei; qui con coach Carlo Recalcati nel 2006.

“Ho cercato sempre di fondare il mio lavoro su elementi di concretezza e di simpatia, di instaurare rapporti positivi con tutti, lasciandomi guidare dal mio carattere. Spero di essere riuscito nell’intento di realizzare qualcosa di buono, e di essere stato apprezzato dalle persone con le quali mi sono trovato a collaborare… Del resto, ho avuto la fortuna di avere sopra di me, come responsabili del settore Squadre Nazionali, personaggi davvero straordinari; come Cesare Rubini, ad esempio, che per me è stato un modello di ispirazione per professionalità e autorevolezza; ma vorrei citare anche l’avvocato Gianluigi Porelli, o lo stesso Dino Meneghin, un campione inimitabile dentro e fuori dal campo e un vero e proprio ambasciatore del basket italiano: non c’era luogo del mondo in cui, all’arrivo della nostra Nazionale, non ci fosse qualcuno ad aspettarlo a braccia aperte…”.

“Il mio legame con la Nazionale, in realtà, risale ai tempi in cui era commissario tecnico Giancarlo Primo (un grande signore del basket, uno degli ultimi) e alla presidenza della FIP c’era Claudio Coccia. Poi è cominciata la mia lunga avventura come team manager: esperienza indimenticabile, tante belle storie, aneddoti a mai finire, farei fatica adesso a ricordarli tutti… Parlando solo di Europei, il momento più esaltante è stato senza dubbio l’oro di Parigi ’99, soprattutto per come è maturato, dopo le tante polemiche che c’erano state all’avvio del torneo: Tanjevic e i suoi ragazzi si sono imposti con una forza che ha davvero sbalordito tutti… Prima ancora, avevo potuto assaporare la gioia di due medaglie d’argento: quella con Gamba di Roma ’91, che ebbe un fascino tutto particolare perché conquistata nella città della Federazione (oltre che mia), in un clima di «ubriacatura» cestistica; e quella del ’97 a Barcellona, che premiava il grande lavoro di restauro portato avanti con volontà e pazienza da un giovanissimo Messina…”.

Silvestri, primo a sinistra, in una foto del 2011, assieme a Bianchini, Gamba, Messina e Pianigiani (con gli ultimi tre ha condiviso l’esperienza, in totale, di sette Europei).

“Poi, nel 2003, è arrivato il bronzo di Stoccolma, con Recalcati. E se devo essere sincero, ho provato una emozione pari a quella dell’oro di Parigi. Sarà stato per il fatto di avere vinto la partita di finale, a differenza di quanto successo con l’argento, o forse perché quella squadra era stata considerata da buona parte della stampa come la peggiore Nazionale mai allestita nella storia! E invece si rivelarono giocatori fantastici, con un cuore grande così; quel cuore che li portò a vincere l’argento olimpico l’anno dopo…”.

“Certo, ci sono stati momenti meno belli, alcuni anche di grande delusione: mancate qualificazioni alle fasi finali, tracolli, sogni infranti per un canestro sbagliato o subìto all’ultimo secondo… Io sostengo che per vincere un Europeo, o comunque guadagnare il podio, ci deve essere una tale serie di combinazioni positive che ogni piccolo impedimento può compromettere tutto e farti precipitare in basso. Come diceva il buon Rubini, ci vogliono testa, cuore, attributi e… fortuna: se uno solo di questi elementi viene a mancare, addio! E se questa tesi era valida ai tempi di Rubini, lo è diventata ancora di più nel corso degli anni. Dall’era dei pochi squadroni imbattibili, URSS e Jugoslavia, e di alcune avversarie materasso, ho visto l’Europeo via via trasformarsi in un torneo estremamente equilibrato e pieno di pretendenti: si sono moltiplicate le rappresentative dell’Est, senza diminuire il loro valore, sono cresciute notevolmente quelle di un Occidente un tempo depresso. Non credo di esagerare dicendo che, da qualche edizione a questa parte, ci sono almeno dieci Nazionali potenzialmente in grado di vincere un Europeo: basta, appunto, indovinare la combinazione giusta…”.

“La nostra Nazionale, forse, si è fatta cogliere un po’ impreparata da questa sorta di rivoluzione e ha pagato lo scotto, non partecipando addirittura all’Europeo del 2009. Ma con Pianigiani è cominciata la ripresa. Allenatore capace al pari degli altri che lo avevano preceduto, soprattutto un grande lavoratore, meticoloso fino all’ossessione; non ho mai capito quante (poche) ore dormisse. Ha portato una ventata di modernità nella conduzione della squadra e nella costruzione dello staff, aumentando il numero dei collaboratori tecnici… Nel 2011 in Lituania era ancora troppo presto per pretendere da lui risultati; a parte la difficoltà del girone, non si riuscì a ottenere una somma algebrica della potenzialità dei tre giocatori NBA presenti. Andò molto meglio in Slovenia nella edizione successiva, nonostante le numerose assenze per infortunio, con una fase di qualificazione straordinaria che ci aveva anche procurato qualche illusione; poi il cammino si è fatto più difficile, e di quei famosi quattro elementi, qualcuno è venuto meno…”

“È stato quello il mio ultimo Europeo da team manager, anche se nell’occasione non ero in campo, perché era giusto cominciare a lasciare spazio al mio successore… Devo dire che assistere alle partite in panchina mi metteva molto più a mio agio, piuttosto che soffrire in tribuna o davanti a un teleschermo. Controllavo meglio le emozioni, e anche in questo ho preso esempio da Rubini, che non si scomponeva mai; lo vidi alzarsi in piedi forse una sola volta, in occasione della famosa rissa con gli jugoslavi a Limoges nell’83…”

“Adesso pronti per tifare Italia! La Nazionale parte con tanta esperienza e rabbia in più, e proprio per l’equilibrio di cui parlavo prima la vedo in grado di recitare un ruolo importante al prossimo Europeo. A Messina mi sono già permesso di fare la mia raccomandazione: «Ettore, visto che la testa è la tua, cerca di mettere in campo giocatori con cuore e attributi!».

All’elemento fortuna dovrà necessariamente pensarci qualcun altro…

 

a cura di

Nunzio Spina

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