Benedetta Grisiglione, giocatrice catanese del dopoguerra, ricorda le sue esperienze alla Coppa Sicilia… La prima esperienza fuori casa… La «gran pedata» all’arbitro…
Siamo nei primi anni cinquanta. Lo sport nel dopoguerra torna ad essere pionieristico, c’è ben altro a cui pensare nella società italiana che si riprende dallo sfascio del conflitto mondiale. Proprio per questo, è più difficile ricostruire un periodo del basket che è andato quasi dimenticato. Nel 1947 si inizia a disputare un torneo chiamato Coppa Sicilia, che richiama i migliori ragazzi di ogni provincia per una manifestazione polisportiva di grande rilevanza. È una sorta di progenitrice dell’attuale Trofeo Sicilia, che ne ricalca l’idea di competizione-incontro tra i giovani isolani.
La Catania del basket sta crescendo grazie all’impulso di alcuni appassionati che avevano fatto la storia prima della guerra e ora stanno reclutando tante nuove leve. Nella femminile, l’attività è organizzata un po’ dal neonato Cus, un po’ dalla Ciclope, società del prof. Santo Caponnetto. Ci sono tante ragazze promettenti, tra cui Pina Giglio forse è la più rappresentativa. Nella squadra C della Ciclope e nel Magistrale del 1951 si fa vedere Benedetta Grisiglione, che si segnala come un’atleta tenace, la migliore insieme a Licciardello.
«Dopo aver partecipato ai campionati d’istituto – racconta la Grisiglione –, sono selezionata per partecipare al torneo di pallacanestro in seno alla Coppa Sicilia di quell’anno. È una grande emozione e una grande felicità, anche perché per allontanarmi sola da casa ho bisogno del permesso dei miei genitori, che accettano. Partite dalla stazione di Catania in un pomeriggio di maggio, arriviamo a Siracusa e in carrozzella veniamo accompagnate in un collegio per dormire lì. Dopo cena torniamo in una camerata divisa in due dai letti e ci battiamo a cuscinate, fino a quando non ci zittiscono».
Le ragazze, nemmeno ventenni, hanno la possibilità unica di affrontare una competizione che è di grande livello, ma anche di uscire per la prima volta sole da casa e tornare con un’esperienza piena di soddisfazioni. «Sono state emozionanti le sfilate del primo dell’ultimo giorno di gare e noi siamo ritornate a casa con la Coppa Sicilia consegnata al provveditore agli studi, che alla partenza era venuto a salutarci». Le etnee vincono la finale contro le coetanee di Palermo, è il 3 maggio 1951, finisce la quinta Coppa Sicilia. Sul “Corriere di Sicilia”, un quotidiano che segue particolarmente le vicende cestistiche, un giovane Carmelo Gennaro riempie di elogi l’intera squadra: «Che dire delle azzurre? Tutte in gamba, tutte brave! Tutte hanno dato il loro appassionato contributo ad una vittoria che ha avuto il sapore del trionfo».
«L’anno dopo è la volta di Agrigento – prosegue la Grisiglione –. Nella hall dell’albergo ci divertiamo con un pianoforte: Rosetta Montanini strimpella e noi tutte a cantare. Al momento di andare a letto, due buontempone hanno l’idea di entrare in camera del prof. Caponnetto, di prenderlo una dai piedi e l’altra dalla testa e di portarlo nei corridoi. Lui grida: “Sono solo in pigiama e senza mutande!” Loro lo abbandonano così per terra, con grande spasso per tutte. Tornate in camera, troviamo un omino per gli abiti con le rotelle: faccio salire Violetta Gottini e comincio a spingerla velocemente e lei a gridare di fermarmi, senza esito. Risultato: una gran testata contro la porta della camera». Ad Agrigento le ragazze di Palermo si vendicano e vincono loro lo scontro diretto e la Coppa.
I trofei giovanili mettono insieme una squadra pronta per competizioni più difficili. La Grisiglione rimane in campo fino al 1957, vestendo la maglia della Libertas. La squadra di Marco Mannisi (poi presidente dello Sport Club Catania) disputa tre campionati, arrivando alle soglie della Serie A nel 1957. Quell’anno si vince la Promozione, superando tra l’altro Siracusa e Trapani, e le catanesi sono ammesse agli spareggi per la massima serie.
«Un altro episodio che ricordo è in una partita di spareggio con la squadra di Messina, quando l’arbitro di Reggio Calabria ci ha fatto perdere sfacciatamente la partita. È stata una grande arrabbiatura per tutte noi e mia in particolare. L’arbitro era di spalle, perciò mi sono avvicinata al tavolo della giuria e gli ho dato una gran pedata, sorprendendolo. Lui mi ha fatto girare e si è scritto il mio numero di maglia, così mi sono presa una giornata di squalifica».
Dopo quel periodo, il basket femminile catanese rimane in mano all’Acese di Amerigo Penzo e poi esaurisce la sua carica, senza le protagoniste degli anni cinquanta.
Roberto Quartarone